1098: il secondo assedio di Antiochia
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1098: il contro assedio di Antiochia

La maggior parte della città di Antiochia, ad eccezione della cittadella che era rimasta nelle mani di Shams al-Dawla, figlio dell'Emiro Yaghisiyan, era caduta nelle mani dei crociati il 3 giugno dell'anno 1098. Dopo la loro conquista, i soldati cristiani trascorsero alcuni giorni di festeggiamenti.

Il Vescovo Ademaro de Monteil, che desiderava mantenere buone relazioni con i Bizantini, ristabilì il Patriarca Greco-Ortodosso Giovanni VII l'Ossita, che era stato imprigionato dall'Emiro Yaghisiyan.

Ma ben presto il terrore sostituì la gioia: un formidabile esercito di musulmani si stava avvicinando ad Antiochia. Già dai primi giorni dell'assedio Crociato, l'Emiro di Antiochia aveva inviato a tutti i suoi alleati musulmani delle richieste di aiuto ed il comandante supremo del Sultanato Selgiuchide di Persia aveva promesso di salvarlo.

Alla chiamata del Sultano, tutti la Persia e l'Asia Minore, da Damasco a Gerusalemme e fino all'Arabia, si mise in moto per attaccare i Crociati. Kerbogha, Principe di Mosul, era il comandante militare dei musulmani che, animati da sete di vendetta, avevano giurato sul loro Profeta di uccidere tutti i cristiani.

Il 7 giugno 1098, il terzo giorno dopo la cattura di Antiochia, i cristiani videro dai bastioni della cittadella i cavalieri musulmani che riempivano tutta la pianura e avanzavano verso la città.

Uno dei più valorosi cavalieri dell'esercito Crociato, Roger de Barneville, uscì dalle mura per combatterli, ma ben presto i suoi compagni ritornarono indietro con il suo corpo al quale i musulmani avevano tagliato la testa. Tutto il popolo cristiano accompagnò alla tomba quello che era rimasto del generoso martire. I più saggi, pieni di presentimenti oscuri, cominciarono ad invidiare la sorte dei guerrieri che sarebbero morti in duello.


Arciere turco

In lontananza si vedevano flottare le molte bandiere dell'esercito musulmano. Invano Goffredo di Buglione, Tancredi d'Altavilla ed il Conte Roberto II di Fiandra si affrettarono a chiamare alle armi i loro soldati per confrontarsi con la moltitudine dei nemici: molti dei loro guerrieri furono uccisi in combattimento ed il loro ritorno in città diffuse la costernazione tra i pellegrini.

Il 9 giugno Kerbogha iniziò l'assedio della città. Fu allora che i nuovi padroni di Antiochia, in mancanza di disposizioni e non avendo risorse per sostenere un lungo assedio, poterono vedere tutti i pericoli che li minacciavano: i Crociati dovevano difendersi contemporaneamente dal nemico ancora asserragliato in una posizione formidabile nella cittadella e dall'esercito di Kerbogha, le cui tende coprivano il pendio delle montagne e le rive orientali dell'Oronte.

La carestia si fece presto sentire: i Crociati, nel bel mezzo delle ricchezze conquistate ai loro nemici, erano condannati a subire ogni genere di miseria. I primi giorni alcuni pellegrini, sfidando ogni pericolo, andarono al Porto San Simeone per riportare qualcosa da mangiare da rivendere ad Antiochia. Ma alla fine furono sorpresi e massacrati dai Turchi Selgiuchidi, mentre le navi che erano arrivate alla foce del fiume Oronte si affrettarono ad allontanarsi dalle coste della Siria.

Pertanto i Crociati, bloccati nella città che avevano appena conquistato, ricordavano con rammarico quei giorni in cui erano loro ad assediare e quando avevano fame andavano a cercare in lontananza delle provviste. I cronisti raccontano della sofferenza della carestia e dell'enorme quantità di denaro che serviva a pagare un pane, un uovo, alcuni fagioli, la testa di una capra, o la coscia di un cammello.

I Crociati dapprima uccisero i loro animali da soma, poi i loro cavalli da battaglia. I più poveri rubavano la pelle di questi animali e la condivano con pepe e cumino; i soldati mangiavano la pelle dei loro scudi o delle loro scarpe, ammorbidita in acqua calda.


Arcieri Turchi

Quando anche queste risorse iniziarono a mancare, la miseria si trasformò in paura. Ogni giorno una folla affamata gremiva le porte di coloro che avevano conservato il cibo e ogni giorno quelli che avevano risparmiato il cibo si riducevano a mendicare come gli altri.

Presto i soldati ed i capi, i poveri ed i ricchi, tutti i ceti e tutte le condizioni si ritrovarono uniti nella stessa calamità e infine il flagello della terribile carestia divenne così universale, che i Principi ed i signori che possedevano in Europa grandi città e vaste aree, soffrivano il tormento della fame e mendicavano di porta in porta tutto quello che poteva essere buono per prolungare di un'ora le loro vite.

Molti Crociati cercarono di fuggire verso il mare attraversando mille pericoli, molti disertarono durante la notte, a volte attraverso le fogne della città, a volte scendendo giù dai bastioni con una corda; molti raggiunsero Stefano di Blois a Tarso.

Stefano aveva visto l'esercito di Kerbogha accampato vicino ad Antiochia e capì che non c'era più speranza; i disertori confermarono la sue paure. Ogni giorno i cristiani si vedevano abbandonati da molti dei loro compagni, e queste diserzioni si aggiungevano alla loro disperazione.

Mentre i Crociati, pressati sia dalla fame che dai Turchi Selgiuchidi, avevano perso ogni speranza di salvezza, l'Imperatore Alessio I Comneno aveva attraversato con un esercito l'Asia Minore ed avanzava verso Antiochia. La sua avanguardia gli aveva annunciato le miserie subite dai Crociati e ben presto Stefano di Blois, che aveva lasciato l'esercito Crociato per tornare in Occidente, apparve nella tenda dell'Imperatore al quale dipinse con i più neri colori la situazione disperata dei pellegrini.


l'Imperatore Alessio I Comneno

I Crociati che seguivano l'esercito dei Bizantini non credevano ad una notizia così dolorosa e si chiedevano perché il vero Dio permetteva la distruzione del suo popolo. Tra coloro che erano in preda alla disperazione, c'era soprattutto Guido d'Altavilla, fratello di Boemondo di Taranto.

Il giovane guerriero si rotolò nella polvere per la disperazione ed esclamò: “0 Dio dove è il tuo potere? Se sei ancora l'Onnipotente Dio, cosa è diventata la tua giustizia? Non siamo i tuoi figli, non siamo i tuoi soldati? Qual è il Padre, qual è il Re che lascia morire la sua famiglia quando la può salvare? Se Tu abbandoni coloro che combattono, chi ora avrà il coraggio di porsi sotto la Tua santa bandiera?“


Crociati

Nel loro dolore cieco, tutti i Crociati ripeterono queste empie parole. Tale era la disperazione che tutte le cerimonie religiose furono interrotte e nessun sacerdote e nessun laico pronunciò per giorni il nome di Gesù Cristo.

Stefano di Blois convinse l'Imperatore Alessio I Comneno, che si era spinto sino a Philomélium (oggi Aksehir), che non era possibile salvare il resto dei Crociati; Alessio, che aveva saputo dai suoi ricognitori che un altro esercito di Turchi Selgiuchidi si stava avvicinando in Anatolia, decise di sospendere la sua marcia e tornare a Costantinopoli, piuttosto che rischiare una battaglia.


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