1102: il Regno di Baldovino di Boulogne
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I saraceni si impegnarono in battaglia con tale impeto che le prime due righe di cristiani vennero pesantemente colpite. Il Re Baldovino inviò immediatamente alcuni battaglioni per sostenere coloro che fuggivano.

La vittoria sembrava decidersi per i musulmani: allora l'Arcivescovo di Cesarea e l'Abate Gerle si avvicinarono al Re dicendo che mancava la misericordia divina a causa della discordia tra lui e il Patriarca.

A queste parole Baldovino cade in ginocchio davanti alla reliquia della Vera Croce rispondendo: “la sentenza di morte è presso di noi; i nemici ci circondano da tutte le parti; non so chi li puoi battere se la grazia di Dio è con me; imploro così l'aiuto dell'Onnipotente e giuro di ripristinare l'armonia e la pace del Signore”.

Baldovino confessò i suoi peccati e, dopo aver ricevuto l'assoluzione, montò a cavallo e, accompagnato da dieci cavalieri, si precipitò nel pieno della mischia. Una bandiera bianca in cima alla sua lancia mostrava ai suoi cavalieri la via del pericolo e della battaglia. Intorno a loro tutti divennero prede delle loro spade; dopo di loro avanzava la Croce di Cristo, e dappertutto non c'era salvezza “per coloro che non hanno cavalli veloci”.

I soldati cristiani che erano fuggiti all'inizio della battaglia, avevano preso la strada per Giaffa, ma nella fuga quasi tutti caddero sotto i colpi dei nemici. Gli infedeli poi raggiunsero le mura di Giaffa e gridarono alle sentinelle cristiane che l'esercito Crociato era stato battuto e che il Re era morto.


Ramla in una stampa del 1700

La Regina di Gerusalemme Arda d'Armenia, che in quel momento era a Giaffa, inviò un messaggero da Tancredi per dargli la triste notizia e dirgli che il popolo di Dio sarebbe giunto al suo ultimo momento, se nessuno veniva in suo soccorso.

Ma Baldovino non sapeva nulla di ciò che stava accadendo a Giaffa; il suo esercito vittorioso, dopo aver inseguito gli infedeli fino alle porte di Ascalona, tornò verso sera nella pianura dove aveva combattuto la battaglia. I cristiani resero grazie al Signore e trascorsero la notte nelle tende dei loro nemici.

Il giorno dopo, mentre tornavano a Giaffa, improvvisamente una folla di infedeli si presentò davanti a loro, carica di bottino e diverse armature dei Crociati. Erano quelli che il giorno prima, sotto le mura di Giaffa, avevano provocato l'allarme tra i cristiani. Alla vista dell'esercito cristiano, che pensavano sconfitto e distrutto, gli infedeli prontamente si diedero alla fuga e presto dalle torri di Giaffa fu possibile vedere le bandiere dell'esercito trionfante di Baldovino.

1102: la battaglia di Lydda

Nello stesso periodo giunsero in Palestina delle notizie angoscianti: moltissimi pellegrini provenienti da molte nazioni d'Occidente, erano morti nelle montagne e nei deserti dell'Asia Minore.

Il Conte Guglielmo VII di Poitiers, il Conte Stefano di Blois, il Conte Stefano di Borgogna, il Conte Harpin di Bourges, il Conte di Nevers, Corrado, Conestabile dell'Imperatore di Germania e vari altri Principi che erano sfuggiti al disastro ed erano stati ospitati ad Antiochia da Tancredi, decisero di completare il loro il triste pellegrinaggio ai luoghi santi.

Baldovino, che era andato loro incontro fino a Beirut, difese la loro marcia verso Gerusalemme. Che spettacolo per i credenti nella Città Santa! Tutti questi pellegrini illustri che avevano lasciato l'Europa con innumerevoli soldati, ora non avevano con loro che qualche servitore.

Mai i grandi della terra avevano sofferto tale miseria e umiliazione per amore di Gesù Cristo. Tutto il popolo di Gerusalemme li accompagnò al Santo Sepolcro. Trascorsero diversi mesi in Giudea e, pochi giorni dopo la festa di Pasqua ritornarono a Giaffa per imbarcarsi per l'Europa.


la battaglia di Lydda

Erano in attesa di venti favorevoli, quando improvvisamente venne loro annunciato che un esercito di infedeli di Ascalona stava devastando i territori di Lydda (oggi Lod) e di Ramla. Il Re di Gerusalemme, che era a Giaffa, radunò in fretta i suoi cavalieri per marciare contro il nemico. Anche i nobili pellegrini presero i cavalli e le armi e lasciarono Giaffa per combattere i nemici.

Re Baldovino si mise a capo delle truppe e, seguito da quasi 200 cavalieri, in tutta fretta raggiunse l'esercito musulmano. Si trovò improvvisamente in mezzo a 20.000 infedeli; senza preoccuparsi del loro numero, i cavalieri attaccarono cercando una morte gloriosa.

Il Conte Stefano di Blois ed il Conte Stefano di Borgogna morirono quel giorno; il Conte Harpin di Bourges fu fatto prigioniero assieme al Conestabile Corrado. Baldovino si ritirò quasi da solo dal campo di battaglia e si nascose tra l'erba e l'erica che copriva la pianura. Mentre i vincitori davano fuoco all'erba per soffocarlo, riuscì a fuggire ed a rifugiarsi a Ramla.

Baldovino era fortemente preoccupato dal fatto che i mussulmani avrebbero potuto assediare la città, quando all'improvviso uno sconosciuto chiese di parlargli:
“E' la riconoscenza che mi porta a Te. Sei stato generoso con una mia moglie che mi è cara ed è tornata dalla sua famiglia dopo che tu gli hai salvato la vita; vengo ora a pagare questo sacro debito.
I Saraceni sono ovunque in giro per la città dove ti sei rifugiato: domani sarà presa e nessuno dei suoi abitanti potrà sfuggire alla morte. Io vengo ad offrirti una via di salvezza.
Conosco percorsi che non sono sorvegliati; fa in fretta, devi solo seguirmi e prima dell'alba sarai tra i tuoi compagni”.


Baldovino fugge a Ramla

Baldovino esitò, non poteva lasciare i suoi compagni in pericolo, ma furono proprio i suoi compagni a chiedergli di seguire l'Emiro musulmano.

Questi infatti gli dissero: “Noi dobbiamo solo morire e qui ci aspettiamo la corona del martirio che siamo venuti a cercare. Per te, Baldovino, il tempo non è ancora arrivato, e devi vivere per la salute del popolo cristiano”.

Baldovino cedette alle loro preghiere e lasciò la città in compagnia dell'Emiro. Favorito dal buio della notte e sempre accompagnato dalla sua fedele guida, fece lunghe deviazioni e si allontanò definitivamente. Il giorno dopo era tra le mura di Arsuf.


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