1186: il Regno di Sibilla e Guido
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Per la difesa della Terra Santa venne deciso di utilizzare il tesoro che il Re Enrico II d'Inghilterra aveva inviato a Gerusalemme e che era conservato nella casa del Tempio; il Consiglio dei baroni decise infine che lo stemma di Inghilterra sarebbe stato rappresentato sulle bandiere dell'esercito cristiano.

Non si dimenticò il legno della Vera Croce, che sempre riappariva nel grande pericolo. Il segno della salvezza fu portato in processione fuori dalla città e consegnato dal Patriarca di Gerusalemme ai Vescovi incaricati di portarla in testa all'esercito. Un triste presentimento si mescolò con la cerimonia e molti credevano ad alcune previsioni secondo le quali la Vera Croce non sarebbe più tornata a Gerusalemme.

Tutti gli uomini adatti alle armi si riunirono alla pianura di Séphouri. 100 Cavalieri giunsero da Jaffa ed Ascalona; 40 da Ramla e Mirabel; 10 da Ibelin; 100 dal Principato di Galilea; 100 al seguito di Rinaldo di Sidone; 60 al seguito di Rinaldo di Châtillon; 24 dal Siniscalco Joscelyn di Courtenay; 10 dal Vescovo di Lidda; 6 dal Primate di Nazareth; 41 da Gerusalemme; 85 da Nablus; 80 da San Giovanni d'Acri e 28 da Tiro, oltre ai membri dei vari Ordini religiosi, per un totale di 1200 cavalieri.

A questi si affiancarono 4.000 Turcopoli a supporto della Cavalleria; mentre un imprecisato numero di mercenari, un gruppo di balestrieri pagati da Enrico II d'Inghilterra ed i marinai italiani provenienti da Tiro, Sidone, San Giovanni d'Acri e Beirut formavano la fanteria.

L'armata di Guido di Lusignano era infoltita inoltre da pellegrini disarmati provenienti da tutta Europa. Il numero complessivo dell'esercito cristiano ammontava quindi a 16.000 uomini.

1187: la perdita di Tiberiade

Ben presto si apprese che Saladino era entrato a Tiberiade e che i musulmani stavano assediando la cittadella dove era fuggita la moglie del Conte di Tripoli. Subito si riunì il gran consiglio per decidere se si dovesse andare in soccorso della città caduta nelle mani degli infedeli. Tutti i baroni espressero il loro parere e quando arrivò il turno del Conte Raimondo III di Tripoli, egli disse:


resti della cittadella di Tiberiade

“Tiberiade è la mia città e mia moglie è nella cittadella, quindi nessuno ha più da perdere di me e nessuno è più interessato di me a soccorrere Tiberiade e coloro che la abitano. Guai a tutti noi, tuttavia, se condurremo i nostri eserciti in quell'arido deserto, dove saranno divorati dalla sete, dalla fame e dalla calura della stagione!
Voi sapete che nel luogo stesso in cui siamo, il nostro esercito è in difficoltà per sostenere il sole cocente e che senza acqua morirebbe; d'altra parte, voi sapete che anche i nostri nemici non possono raggiungerci senza perdere un gran numero uomini, per la mancanza di acqua e per il caldo.
Quindi restiamo nei pressi dell'acqua, in un luogo dove il cibo non ci manca. E' certo che i Saraceni, tutti gonfi di orgoglio dopo aver preso una città, non andranno né a destra né a sinistra, ma attraverseranno il deserto che ci separa, per venire dritto verso di noi e provocarci a combattere.
Così la nostra gente, a cui non manca niente, con acqua e cibo in abbondanza, uscirà dal campo con gioia e si precipiterà per scontrarsi con un nemico che la sete e la fame avrà sconfitto a metà; così noi ed i nostri cavalli saremo ben organizzati ed agili e, protetti dalla Vera Croce, batteremo con vantaggio quella nazione incredula, che sarà esausta dalla fatica e non avrà alcun riparo.
Così i nemici di Gesù Cristo moriranno nelle loro aggressioni imprudenti e prima di poter tornare al Giordano o al Mar di Galilea, periranno tutti, io vi giuro, per la sete e per la spada, o cadranno vivi nelle nostre mani.
E noi, se ci capiterà qualche disgrazia, se saremo costretti a fuggire (che Dio ci liberi da questa vergogna!), non resteremo senza soccorso o senza asili.
Per tutte queste ragioni, io sono dell'avviso di lasciar perdere Tiberiade, affinché il Regno non venga perso”.


la cavalleria musulmana

Così il conte di Tripoli aveva abilmente intuito i piani di guerra di Saladino ed offerto il mezzo migliore per contrastare i disegni del nemico: ma trovò comunque chi lo contraddiceva. Rinaldo di Châtillon lo accusò di esagerare il numero dei musulmani e disse: “E che ci importa del numero dei nostri nemici? Forse che molta legna da fastidio al fuoco?”

Nonostante questa opposizione dettata dall'odio, i baroni riconobbero che il Conte di Tripoli parlava con sincerità. Il Re Guido decise che non bisognava lasciare Séphouri, ma quando era solo nella sua tenda, Gérard de Ridefort, Gran Maestro dei Templari, tornò e gli disse:
“Non seguire il consiglio di un traditore; tu sei Re da poco tempo e disponi di un grande esercito; la vergogna cadrà su di te se inizi a regnare lasciando perdere una città cristiana!
Sappi che noi Templari ci toglieremo i nostri camici bianchi e venderemo tutto quello che abbiamo, piuttosto che sopportare l'obbrobrio che altri vogliono far subire al popolo di Gesù Cristo. Sire, fai subito bandire nel campo che tutti si preparino a partire, e che la Vera Croce preceda l'esercito”.

Guido di Lusignano non seppe resistere alle parole del Gran Maestro e, nonostante avesse già dato ordini in contrario, ordinò di marciare verso il nemico.

1187: la Battaglia di Hattin

L'esercito cristiano, composto complessivamente da 16.000 uomini, lasciò il campo di Séphouri la mattina del 3 luglio 1187. Il Conte Raimondo III di Tripoli marciava in testa con le sue truppe; a destra ed a sinistra dell'esercito c'erano diversi reparti controllati dai baroni e dai signori della Terra Santa; al centro c'erano i Vescovi di Lidda e di San Giovanni d'Acri che portavano la reliquia della Vera Croce scortati da un gruppo scelto di soldati; sempre al centro c'era il Re di Gerusalemme Guido di Lusignano, circondato dai suoi valorosi cavalieri; Baliano di Ibelin, guidava la retroguardia composta prevalentemente dai Cavalieri Templari e Ospitalieri.


la Battaglia di Hattin

Saladino aveva radunato il più grande esercito che si fosse mai visto: oltre 300.000 uomini fra cavalieri, arcieri e fanti e, alla notizia che l'armata cristiana si era messa in marcia, lasciò un piccolo contingente a Tiberiade e ritornò al campo base, da dove inviò delle truppe di cavalleria per disturbarne la marcia dei Crociati uccidendogli i cavalli senza accettare lo scontro.

Per eludere lo scontro frontale ed immediato, i cristiani seguirono la via scartata dal Conte Raimondo III di Tripoli, che da Séphouri portava ad un villaggio situato a tre miglia da Tiberiade e chiamato “Mash-had”, dove pensavano di fare rifornimento di acqua. Visto che dovevano attraversare gole strette e località rocciose per raggiungere il lago di Tiberiade, il Conte di Tripoli mandò a dire al Re di attraversare il villaggio senza fermarsi, per raggiungere in tempo le rive del lago.


la battaglia di Hattin (miniatura da “Historia” di Guglielmo di Tiro, sec. XV)

Dopo sei ore di cammino o cristiani raggiunsero Monte Turan dove c'era una ricca sorgente, ma Guido di Lusignano rifiutò di fermarsi. A mezzogiorno, l'esercito aveva percorso 18 chilometri e si trovava al centro di un'area desertica: l'acqua era finita e la calura estiva tormentava i fanti e arroventava le corazze dei cavalieri; tutti erano stanchi per le molte ore di cammino in un territorio così impervio.

Fu allora che i saraceni raggiunsero improvvisamente la retroguardia dell'esercito e la attaccarono, gettando lo scompiglio tra i Templari e gli Ospitalieri i quali, per difendersi, si dovettero fermare nel mezzo della pianura dove furono sommersi da una pioggia di frecce.


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