1198: la predicazione della Crociata
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1198: l'appello di Innocenzo III

Dopo la partenza dei Crociati tedeschi, i Cristiani d'Oriente erano rimasti praticamente senza sostegno; la loro sola sicurezza, anche se precaria e incerta, era la tregua conclusa fra Safedino ed il Conte Simone IV di Montfort, però i Turchi erano molto più numerosi dei Cristiani e si poteva supporre che volessero recuperare quanto avevano perduto.


il Papa Innocenzo III

Così i Cristiani decisero nuovamente di chiedere aiuto all'Occidente dove spedirono Teobaldo, Vescovo di San Giovanni d'Acri, accompagnato da alcuni cavalieri; ma la nave che li trasportava appena si allontanò dalle coste della Siria fu sommersa dalle onde e tutti gli ambasciatori annegarono. la richiesta di aiuto giunse comunque in Europa perché alcuni pellegrini scampati al naufragio, giunsero in Sicilia.

Però l'Europa si trovava in una condizione tale da non poter soccorrere i Cristiani. Il Sacro Romano Impero, dopo la morte dell'Imperatore Enrico VI, correva il rischio di una guerra civile; il Re di Francia Filippo Augusto era in guerra contro il Re d'Inghilterra Riccardo cuor di leone. Uno dei figli della Regina d'Ungheria aveva preso la croce, ma non per muovere in Oriente, ma per mettere insieme un esercito per usurpare la corona di quel regno.

Intanto il Papa Innocenzo III, da poco eletto, dedicava tutti i pensieri alla grandezza temporale della sede apostolica. Per prima cosa si occupò di cancellare le innovazioni pericolose e le dottrine eterodosse che cominciavano ad indebolire la potestà pontificia; poi si adopererò per risuscitare lo zelo delle Crociate e cercò di assoggettare i Re ed i popoli per unire tutta Cristianità ed indirizzarla a favorire la crescita della Chiesa.


Filippo di Svevia

In una sua lettera mandata ai Vescovi, al clero, ai Principi ed ai popoli di Francia, d'Inghilterra, d'Ungheria e di Sicilia il Sommo Pontefice così scriveva:
“Dopo la perdita di Gerusalemme, la Santa Sede di continuo ha chiamato i fedeli a vendicare l'ingiuria fatta a Gesù Cristo, scacciato dalla sua eredità. Uria non volle entrare nella sua casa, né veder la sua moglie, mentre l'arca del Signore era nel campo; ma ora i nostri Principi, in tanta pubblica calamità, s'insozzano d'illegittimi amori, di leziose morbidezze, abusando dei beni loro dati dal cielo e si perseguitano vicendevolmente con odi implacabili: e tutti volti a vendicare private ingiurie, non odono gli scherni dei nostri nemici che ci dicono:
Dove è il vostro Dio, che non può liberare sé medesimo dalle nostre mani? Noi abbiamo profanato il vostro santuario e i luoghi dove pretendete che la vostra superstizione sia nata; noi abbiamo spezzato le armi dei Franchi, degli Angli, dei Tedeschi ed abbiamo per la seconda volta domato gli orgogliosi Spagnoli; che ci rimane da compiere, se non cacciare quelli che voi avete lasciato in Siria, e irrompere poi nell'Occidente per spegnere il vostro nome e la vostra memoria?
Ah, mostrate, mostrate che il valor vostro non è ancora venuto meno; prodigate a Dio quello di che vi è stato liberale; se, in tant'uopo, negate di servire a Gesù Cristo, che scusa potrete addurne davanti al suo formidabile tribunale? Se Dio è morto per l'uomo, temerà l'uomo di morire per Dio? Ricuserà di dare la sua vita fugace e i beni caduchi della terra, al sovrano dispensatore della vita eterna?”

Oltre a scrivere questa lettera, il Pontefice spedì molti prelati in tutti i paesi d'Europa per ricomporre la pace tra i Principi ed esortarli a riunirsi contro i nemici di Dio.

Questi prelati dovevano indurre le città ed i signori a mandare in Terra Santa a loro spese certo numero di cavalieri e di fanti; in cambio il Papa prometteva la remissione dei peccati e la protezione speciale della Chiesa a tutti coloro che avessero partecipato personalmente all'impresa o avessero contribuito con del danaro.

Per ricevere i tributi dei fedeli, furono poste delle cassette da elemosina in tutte le chiese e nella confessione i preti dovevano imporre per penitenza di concorrere alla santa impresa. Lo stesso Innocenzo III contribuì economicamente alle spese della guerra santa, facendo fondere il suo vasellame d'oro e d'argento e ordinò che non gli fosse servito alcun pasto se non in piatti di legno per tutto il tempo in cui si sarebbe fatta la Crociata.

Il Sommo Pontefice confidava tanto nello zelo dei cristiani, che scrisse ad Aimaro Monaco dei Corbizzi, Patriarca di Gerusalemme e ad Amalrico II di Lusignano, Re di Gerusalemme, annunziando loro i prossimi soccorsi dell'Occidente. Scrisse pure ad Isacco II Angelo, Imperatore di Costantinopoli, riprendendolo per la sua noncuranza per la liberazione del Santo Sepolcro.

L'Imperatore Isacco nella sua risposta si preoccupò di mostrarsi zelante per la causa della religione, ma fece anche notare che il tempo della liberazione di Gerusalemme non era ancora maturo e che temeva di opporsi alla volontà di Dio, sdegnato per i peccati dei Cristiani. Inoltre l'Imperatore ricordava i danni fatti in passato sulle terre del suo Impero dai Crociati e pregava il Papa di rivolgere i suoi rimproveri a coloro che, con il pretesto di servire Gesù Cristo, si affaticavano a soddisfare le loro mire ambiziose. Concludeva la sua risposta dicendo che non era venuto il tempo di togliere la Terra Santa ai Saraceni e che temeva si stesse per dare inizio ad un'opera inutile.

Innocenzo III però controbatté all'opinione dell'Imperatore Bizantino, dicendo che i Cristiani dovevano prendere volontariamente la Croce, se non altro per paura che, aspettando senza fare niente il tempo ignoto e stabilito per la liberazione del Santo Sepolcro, non incorressero nel giusto sdegno di Dio.


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