1200: i preparativi per la Crociata
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1200: l'organizzazione della Crociata

Tra i principali signori e principi che presero la croce sono da ricordare il Conte Thibaut IV di Champagne ed il Conte Ludivico di Blois e Chartres, ambedue congiunti dei Re di Francia e d'Inghilterra. Il padre di Thibaut aveva partecipato alla Seconda Crociata con Luigi VII ed il suo fratello maggiore era stato Re di Gerusalemme; 2.500 cavalieri dovevano rendergli omaggio e prestare per lui il servizio militare e la nobiltà di Champagne era eccellente nell'esercizio delle armi. Inoltre Thibaut, essendo sposato con l'erede al trono di Navarra, poteva raccogliere sotto le sue bandiere i più bellicosi guerrieri dei Pirenei. Il Conte Ludovico di Blois e Chartres discendeva dai capi più illustri della Prima Crociata e possedeva una provincia ricca di guerrieri.


il Conte Baldovino IX delle Fiandre

Seguendo l'esempio di questi due Principi si arruolarono nell'esercito Crociato il Conte Ugo di Saint-Paul, i Conti Gauthier III e Jean de Brienne, Manassès de l'Isle, Renard de Dampierre, il Barone Mathieu II de Montmorency, i Conti di Amiens Ugo e Roberto de Boves, Rinaldo de Boulogne, Goffredo de Perche, Rinaldo de Montmirail, il Conte Simone IV di Montfort che poco prima aveva fatta la tregua coi Turchi ma che rinnovò il giuramento di combatterli, e Goffredo di Villehardouin, Maresciallo di Champagne.

Fra gli Ecclesiastici che presero la croce la storia ricorda Nivelon de Chérisi, Vescovo di Soissons; Guarniero, Vescovo di Langres; l'Abate di Looz; l'Abate Guy di Vaux-de-Cernay. Il vescovo di Langres, che in precedenza era stato oggetto dalle censure papali, intendeva intraprendere questo pellegrinaggio con la speranza di essere ribenedetto dalla Santa Sede.


Thibaut IV di Champagne

Quando i cavalieri ed i baroni ritornarono alle loro case con la croce rossa appiccicata sul petto, suscitarono l'entusiasmo dei loro vassalli e dei loro fratelli d'arme. La nobiltà delle Fiandre, come quella di Champagne, mostrò subito il suo zelo per la difesa dei santi luoghi.

Il Conte Baldovino IX delle Fiandre, che parteggiava per Riccardo cuor di leone contro Filippo Augusto, si procurò asilo sotto lo stendardo della Croce contro le persecuzioni del Re di Francia e fece giuramento nella chiesa di Saint-Donatien a Bruges di andare in Asia a combattere contro i Mussulmani.

La Contessa Maria delle Fiandre, moglie di Baldovino IX delle Fiandre e sorella del Conte Thibaut IV di Champagne, quantunque sul fiore della gioventù e incinta da alcuni mesi, decise di seguire i Crociati oltremare e di abbandonare la patria, che il destino non gli concesse più di rivedere.

Seguirono l'esempio del Conte Baldovino IX delle Fiandre anche due suoi fratelli, Eustachio ed il Conte Enrico di Saarbrücken; a questi si aggiunsero Conone da Bethune, famoso per la sua pietà ed eloquenza e Giacomo d'Avesnes figlio di quel Giacomo d'Avesnes che si guadagnò il titolo di valoroso nella Terza Crociata. Oltre a questi presero la croce molti cavalieri e baroni delle Fiandre e di Hainaut.

I capi della Crociata prima si incontrarono a Soissons, poi a Compiegne. Qui, riuniti in assemblea, nominarono come supremo capitano della Crociata il Conte Thibaut IV di Champagne e decisero che l'esercito doveva raggiungere l'Oriente per mare. Furono perciò spediti sei rappresentanti a Venezia per ottenere dalla Repubblica Marinara le navi occorrenti al trasporto degli uomini, dei cavalli e di tutto quanto occorreva alla spedizione.

1200: il Trattato con la Repubblica di Venezia

In quel momento Venezia era all'apogeo della sua potenza e prosperità ed il suo popolo industrioso si dedicava al commercio marittimo. Fin dal decimo secolo nell'isoletta di Rialto sorgevano palazzi di marmo ed i suoi possedimenti si estendevano alle città dell'Istria e della Dalmazia. La Repubblica di Venezia era così potente che, ad un sol cenno del suo Doge, poteva porre in mare una armata di mille galere con la quale poteva farsi rispettare sia dai Bizantini, che dai Saraceni e dai Normanni.


il Doge Enrico Dandolo
(dipinto di Domenico Tintoretto)

Tutti i popoli d'Occidente riverivano alla potenza di Venezia, alla quale contendevano invano il dominio dei mari le Repubbliche di Genova e di Pisa. Le armate venete frequentavano i porti di Grecia e d'Asia, trasportavano i pellegrini in Palestina e ritornavano cariche delle ricche merci dell'Oriente. Ma i veneziani poco si interessavano delle Crociate e, quando vi partecipavano, lo facevano solo se giovava ai loro traffici.

Così, mentre i soldati di Cristo combattevano per il Santo Sepolcro o per vanità di gloria o per ambizione di conquista, i Veneziani non combattevano per altro che per i loro affari o per qualche privilegio di commercio; ne ponevano difficoltà nel cercare l'amicizia e la protezione dei musulmani di Siria e d'Egitto, arrivando persino a fornire loro armi e viveri.

Quando gli ambasciatori dei Crociati giunsero a Venezia, vennero accolti dal Doge che a quel tempo era Enrico Dandolo. Il Doge, uditi gli ambasciatori, lodò la Crociata che intendevano intraprendere, che stimava gloriosa e che contemporaneamente giovava alla sua patria e alla religione. Gli ambasciatori chiesero navi sufficienti per il trasporto di 4.500 cavalli e di 20.000 fanti, e provvigioni per l'esercito sufficienti per nove mesi.

Enrico Dandolo, in nome della Repubblica di Venezia, promise le navi ed i viveri, purché i Crociati si obbligassero a pagare a Venezia la somma di 85.000 marchi d'argento. Inoltre, desiderando che anche i Veneziani intervenissero alla Crociata, propose di inviare, oltre a quanto convenuto e a spese della Repubblica di Venezia, cinquanta galere con genti venete, purché a Venezia fossero cedute la metà delle conquiste che si sarebbero fatte in Oriente.


Trattato conclusa nella Basilica di San Marco a Venezia
tra la delegazione dei Crociati francesi e il doge Enrico Dandolo
(dipinto di Charles Renoux)

Gli ambasciatori accordarono facilmente al Doge quanto chiedeva e, stabilite le condizioni del trattato ed esaminate le stesse nel consiglio ducale composto da sei patrizi, queste furono successivamente ratificate da due altri consigli ed infine presentate all'approvazione del popolo presso cui allora era la suprema potestà della Repubblica di Venezia.

Il giorno successivo gli ambasciatori dei Crociati andarono al palazzo di San Marco e giurarono sulle loro armi e sul Vangelo di adempire a tutte le promesse che avevano fatto.

Nel preambolo del trattato venivano ricordati gli errori e le calamità dei principi che fino ad allora si erano mossi alla liberazione di Terra Santa e si lodava la saggezza e prudenza dei signori e baroni francesi che si proponevano di eseguire con più ordine e provvidenza quella spedizione ricca di pericoli e difficoltà.

Gli ambasciatori si impegnavano poi a far accettare le condizioni del trattato ai loro fratelli d'arme, baroni e cavalieri e, se era possibile, al loro signore il Re di Francia. Poi il trattato venne trascritto in pergamena e spedito a Roma per l'approvazione e ratificazione del Papa. Seguirono poi grandi complimenti ed offerte di amicizia in tra i cavalieri Francesi ed i patrizi veneti.

Il Doge prestò ai Crociati 10.000 marchi d'argento e questi promisero eterna gratitudine dei servigi resi dalla Repubblica di Venezia alla causa di Cristo.


Goffredo di Villehardouin

La preferenza data dai Crociati ai Veneziani dispiacque però alle altre Repubbliche marinare d'Italia e quando gli ambasciatori Crociati andarono a Pisa ed a Genova per chiedere aiuto anche a quelle due Repubbliche, non potettero ottenere nessuna cosa di quelle che desideravano. Meno difficili furono gli abitanti della Lombardia e del Piemonte, dove molti presero la croce e promisero andare in Terra Santa sotto il comando del Marchese Bonifacio del Monferrato.

Il Maresciallo di Champagne Goffredo di Villehardouin, attraversando il Moncenisio incontrò il Conte Gauthier III de Brienne che aveva preso la croce al castello di Ecry e che stava andando in Puglia.

Egli aveva sposato una delle figlie di Tancredi, ultimo Re di Sicilia. Seguito da 50 cavalieri, si muoveva per far valere i diritti di sua moglie e conquistare il regno di Sicilia fondato dai cavalieri normanni. Goffredo di Villehardouin e Gauthier III de Brienne si augurarono reciprocamente buona fortuna per le imprese che stavano per intraprendere e promisero di ritrovarsi successivamente nelle pianure di Egitto e di Siria.


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