Frattanto giunse al Papa Onorio III una lettera del Patriarca di
Alessandria Nicola I, che così diceva:
“Gli arcivescovi, i vescovi, i preti, i chierici e tutti i Cristiani che
sono in Egitto, inviano, sospirando e piangendo, le loro suppliche alla Santità Vostra. . . .
Noi non possiamo tenere cavalli nelle nostre case ne portare i nostri
morti fuori della città, con la Croce avanti; se per qualche caso una chiesa
cristiana è in rovina, non osiamo riedificarla.
Da quattordici anni in qua ogni cristiano d'Egitto paga il Dgezié, che i
Latini chiamano Tributo, e che è di un bisante d'oro e di quattordici karouba; chi è povero e non
può pagare è posto prigione, né viene liberato se prima non paga il detto tributo.
I Cristiani sono tanto numerosi in Egitto che ogni anno pagano al tesoro
del sultano 10.000 bisanti saraceni d'oro, moneta di Babilonia. Ancora si impiegano i Cristiani
nelle opere più vili, come nel pulire le pubbliche piazze della città, il che è vergogna di tutto il
Cristianesimo.
Non occorre rammentarti o Santo Padre, in che stato di rovina, di
desolazione e abbandono si trovi Gerusalemme. Il mondo conosce quello che è accaduto a Damietta, né
si addice porre in carta ciò che è vergognoso dire.
Abbi pietà di noi o Signore, abbi pietà di noi, vieni e liberaci o nostro
padre spirituale. Come i santi aspettavano la venuta del Cristo, la redenzione e la liberazione
degli uomini, mediante il Figlio di Dio, così noi sospiriamo e desideriamo la venuta del figlio
vostro l'Imperatore.
Non è da lasciare sotto silenzio, ma anzi da ricordare come si deve
comportare l'Imperatore nella sua venuta. Ecco la via che deve tenere per giungere sano e salvo
senza danni, piacendo a Dio: entri con le galere e le altre navi nel ramo del Nilo che conduce a
Rosetta e getti l'ancora presso una città situata in un'isola del fiume detta Foha. Facendo cosi
otterrà, Dio permettendolo, tutta la terra d'Egitto, senza incontrare pericoli.
Il braccio di Rosetta è largo e profondo; la detta isola abbonda d'ogni
bene. Come il portatore della presente, uomo fedele e uno dei nostri familiari, esporrà meglio a
voce e io l'ho inviato alla Santità Vostra, conoscendo la sua prudenza e saggezza in tali negoziati.
L'avvenimento più miserevole che ci ha colpito dopo la conquista di
Damietta e che disonora il Cristianesimo, è la rovina di 150 chiese: per quello che vive nei secoli,
io non mento.
Vinca dunque la vostra mano i nemici di Cristo! I Saraceni denominati
Fatimidi, cioè quelli che tenevano l'Egitto prima di Saladino, supplicano e scongiurano la Santità Vostra,
in nome di Dio, che mandiate presto quelli che ci
destinate, perché la terra di Egitto è vostra”.
La notizia dei preparativi dell'Imperatore Federico II era giunta fino in Georgia; la loro Regina scrisse al Pontefice che il Contestabile del suo regno e molti suoi sudditi aspettavano l'Imperatore del Sacro Romano Impero per seguirlo nella Crociata in Palestina.
I Georgiani erano reputati popoli bellicosi, temuti dai musulmani, per cui i loro pellegrini avevano il privilegio di entrare in Gerusalemme senza pagare il tributo imposto agli altri Cristiani. Quando il Principe di Damasco fece demolire le mura della città Santa, i Georgiani giurarono di voler vendicare tale oltraggio fatto a Dio ma l'invasione dei Tartari li trattenne alla difesa dei loro territori. Quando poi le orde dei Tartari portarono le loro devastazioni in altre contrade, i Crociati del Caucaso e delle rive del mar Caspio promisero di unirsi ai Crociati del Reno e del Danubio nei paesi di Siria e d'Egitto.
Ma Federico II ritardava la sua partenza. Nei regni di Sicilia e di Napoli covavano semi di discordia e di ribellione; le repubbliche lombarde si dichiaravano apertamente contro l'Imperatore e la Santa Sede, volendo ostacolare i progetti ambiziosi di Federico II, istigava tutti i suoi nemici, mentre sollecitava la sua partenza in Terra Santa.
Ma Federico II, che ben conosceva le segrete mire del Pontefice, non voleva lasciargli campo libero e chiese al Papa il permesso di rinviare ancora per due anni la partenza per la Crociata, giustificandosi con le grandi difficoltà che aveva nel radunare l'esercito dei Crociati e con la necessità di aspettare che la tregua conclusa con i musulmani si fosse estinta, prima di ricominciare la guerra.
Malgrado ciò dispiacesse molto al Pontefice, non trovò più modo di rifiutare a quando richiesto, ma, accordandogli il rinvio, volle che rinnovasse nel modo più solenne le promesse e i voti già fatti per la liberazione del Santo Sepolcro.
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