1228: la Crociata degli scomunicati
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1228: i primi contatti con il Sultano

Si era a metà inverno ed i due campi stavano in perfetto riposo senza sospetto l'uno dell'altro; i due principi mantenevano fra loro un'amichevole corrispondenza. Federico II, tanto temuto dai musulmani, era divenuto oggetto della loro curiosità: si magnificavano i grandi regni che formavano il suo Impero; le cronache mussulmane lo descrivono di pelo rosso e calvo, piccolo di persona, debole di vista, tanto che gli orientali dicevano che, se fosse stato uno schiavo, si sarebbe comperato per meno di duecento dracme.

Si ammiravano nondimeno le sue virtù guerriere e la magnificenza imperiale. Erano molto lodate alla corte del Sultano le sue cognizioni nella medicina, nella dialettica e nella geometria e i musulmani di Siria e d'Egitto si compiacevano di esaltare in lui il discepolo degli Arabi della Sicilia.


Federico II incontra al-Malik al-Kamil

Né meno degno di ammirazione era al-Malik al-Kamil che, principalmente dai suoi nemici, era lodato per la sua moderazione ed era elogiato dai suoi sudditi per la conoscenza delle scienze e per l'amore che portava ai sapienti ed alle lettere.

Il Sultano era anche un poeta grandemente apprezzato e sapeva congiungere allo studio della letteratura, la severità che comportava la sua condizione, con universale soddisfazione; inoltre era sempre più dedito alle arti di pace che a quelle di guerra.

L'Emiro Fakhr al-Din Ibn Shaykh al-Shuyukh, che al-Malik al-Kamil aveva spedito come suo ambasciatore da Federico II in Sicilia e che ora era incaricato dei negoziati per la pace, era molto esperto nelle leggi e nei costumi d'Occidente. Suo padre era stato uno dei più dotti Sceicchi d'Egitto ed egli non godeva di minor reputazione per il suo sapere e per l'abilità negli affari.

Le conferenze che avevano luogo tra i Musulmani e i Cristiani presero un modo veramente curioso. Si facevano dispute intorno alla geometria di Euclide, agli aforismi d'Averroe e intorno alla filosofia d'Aristotele; mentre invece non si parlava mai della religione di Cristo, né di quella di Maometto. Federico II propose più volte al Sultano dei problemi di geometria e di filosofia ed il Sultano, con le soluzioni, mandava all'Imperatore altri problemi da risolvere: uno spettacolo singolarissimo ed a cui pochi avrebbero prestato fede se non fosse stato attestato da testimoni tanto musulmani che cristiani; né mai fra le due nazioni fu tanta tolleranza, buona fede e ingenua amicizia come allora.

Sebbene Gerusalemme fosse il principale, anzi l'unico oggetto dei negoziati, nessuno dei due Principi ne faceva gran caso, non importando sostanzialmente a nessuno dei due possedere la Città Santa mostravano però il contrario per rispetto delle loro nazioni.

Poi Federico II, che mirava soltanto a rendere vane le profezie del Pontefice, scrisse al Sultano la seguente lettera:
“Io sono tuo amico e tu sai quanto sia superiore agli altri Principi dell'Occidente. Tu mi hai chiamato in questi luoghi; i Re ed il Pontefice sanno del mio viaggio; se io ritornassi senza aver ottenuto nulla, perderei ogni considerazione in Occidente.
E poi Gerusalemme non è forse la culla della Cristiana religione e non siete voi che l'avete distrutta? Essa attualmente è in estrema miseria. Rendimela dunque quale è, affinché al mio ritorno io possa alzare la fronte fra i Re ed io rinuncio anticipatamente a tutti i vantaggi che potrei ricavarne”

1228: Federico II e i Cristiani d'Oriente

Mentre i due monarchi trattavano fra loro con tanta moderazione, i loro popoli fervevano di reciproco sdegno e di feroce desiderio di stragi. I Cristiani rimproveravano Federico II di aver mandato al Sultano la sua corazza e la sua spada come pegno delle sue intenzioni pacifiche; i musulmani rimproveravano ad al-Malik al-Kamil la sua familiarità con i nemici dell'Islamismo e d'aver mandato all'Imperatore un elefante, alcuni cammelli e i più rari prodotti dell'Arabia, delle Indie e dell'Egitto.


Federico II

Nei due campi lo scandalo crebbe maggiormente quando il sultano del Cairo mandò in dono all'Imperatore un drappello di belle fanciulle, ammaestrate secondo l'uso orientale, per ballare nei festini.

I muezzin indugiavano nel dire le preghiere davanti alla tenda del Sultano, per fargli intendere che egli era troppo negligente della sua religione e i predicatori dell'Islamismo lo accusavano come traditore del Profeta e della gloria di Saladino.

Non meno severi erano i Cristiani verso Federico II. I Cavalieri di San Giovanni ed i Templari si erano separati da lui; nel campo non si inalberava più lo stendardo imperiale e si impartivano gli ordini in nome di Cristo e della repubblica cristiana.

L'avversione e gli odi coperti, ruppero infine in scoperti tradimenti e congiure. Pierre de Montaigu, Gran maestro dell'Ordine dei Templari, avendo saputo che Federico II voleva andarsi a bagnare nelle acque del Giordano, ne informò con una lettera al-Malik al-Kamil, indicandogli il modo per sorprenderlo e farlo prigioniero. Ma il Sultano, a questa lettera, mostrò ribrezzo e fece sapere all'Imperatore del tradimento.

1229: il trattato di pace

Con tali agitazioni generali degli animi, il Sultano e l'Imperatore continuarono per alcuni mesi le loro trattative e, disprezzando le trame dei loro nemici, il 20 febbraio del 1229 conclusero una tregua di dieci anni, sei mesi e dieci giorni.

Al-Malik al-Kamil dava a Federico Gerusalemme, Betlemme e tutti i villaggi situati sulla strada di Giaffa e di San Giovanni d'Acri, oltre alla città di Nazaret e ai territori di Toron e di Sidone con le loro dipendenze.

Il Sultano inoltre permetteva ai Cristiani di riedificare i castelli di Giaffa, di Cesarea e di Sidone, oltre a quello di Santa Maria, già fondato dai Cavalieri dell'Ordine Teutonico sulle montagne nei pressi di San Giovanni d'Acri.

I musulmani conservavano nella Città Santa la moschea di Omar e il libero esercizio della loro religione. II Principato di Antiochia e la Contea di Tripoli non erano compresi nella tregua. L'Imperatore dal suo canto si obbligava ad impedire i Cristiani da ogni ostilità contro i sudditi e le terre del Sultano.

Quando questo trattato fu reso pubblico, tanto da un lato che dall'altro tale pace venne considerata come empia e sacrilega. I musulmani che abitavano a Gerusalemme uscirono dalla città maledicendo al-Malik al-Kamil; non meno indignati erano i Cristiani.

I prelati e i Vescovi deploravano apertamente il trattato che lasciava in piedi le moschee davanti al Santo Sepolcro, mischiando insieme il culto di Cristo con la religione di Maometto. L'Arcivescovo di Cesarea vietò ai cristiani l'accesso ai santi luoghi recuperati e il Patriarca di Giudea negò ai pellegrini il permesso di visitare il Sepolcro di Cristo.

Ma l'Imperatore, non curandosi dei clamori dei Cristiani, accompagnato dai baroni tedeschi e dai Cavalieri Teutonici guidati dal loro Gran Maestro Hermann von Salza, con tutta la pompa imperiale entrò trionfante in Gerusalemme e, andato alla chiesa della Resurrezione, dopo essersi inchinato davanti all'altare si alzò in piedi e, presa la corona d'oro che era posta sull'altare medesimo, con le sue proprie mani s'incoronò e si proclamò Re di Gerusalemme.

Gli ecclesiastici posti a guardia del Santo Sepolcro erano fuggiti all'arrivo di Federico II, per cui non vi furono cerimonie religiose a questa incoronazione.

Subito dopo Federico II scrisse al Pontefice ed a tutti i principi d'Occidente che aveva recuperato Gerusalemme senza effusione di sangue, per cui riteneva di aver fatto un'opera più grata a Dio e più meritoria di tutti i suoi predecessori. Invitava pertanto i Re e Principi cristiani a rendere solenni grazie a Dio perché aveva dimostrato la sua potenza non con un gran numero di cavalli e di carri ma con dei mezzi apparentemente deboli, così da confondere la superbia e la presunzione degli uomini.

Nel medesimo tempo il Patriarca di Gerusalemme Geroldo di Losanna scrisse a Gregorio IX e a tutti i fedeli di cristianità, esaltando l'empietà e l'infamia del trattato di pace fatto tra l'Imperatore ed il Sultano.

Il Pontefice, contentissimo di avere in mano questa nuova arma contro Federico II, ne fece pubblica ostentazione, aggiungendo certe sue lamentele nelle quali deplorava il recupero di Gerusalemme con le medesime parole con cui i suoi antecessori ne avevano deplorato la perdita e avventò contro Federico II quante più ingiurie ed accuse poteva.

Rimasto poco tempo nella quasi deserta Gerusalemme, Federico II se ne ritornò a San Giovanni d'Acri, dove i suoi nemici gli avevano aizzato contro gli animi del popolo e dove non veniva offeso per il solo timore che la gente aveva della sua potenza.

Il Patriarca di Gerusalemme e il Clero avevano interdetto la città per tutto il tempo che l'Imperatore vi sarebbe rimasto. Fu sospeso ogni esercizio del culto, spogliati gli altari dei loro ornamenti e tolte le croci e le reliquie dei Santi; non si udivano più né campane, né canti religiosi; si seppellivano i morti nei campi senza preghiere e cerimonie funebri; mentre il Clero annunciava la venuta di grandi calamità e la vendetta del cielo.

Giunta la settimana santa il Clero accrebbe le sue ostilità. Federico II, che fino allora si era comportato con i suoi nemici con estrema mansuetudine attribuendo alla cecità del fanatismo le loro offese, non poté più frenare il suo animo e ricorse ai rimedi che gli sembrarono necessari.

Convinto che i modi dolci da lui più volte usati partorivano effetti contrari, mutò stile: fece chiudere le porte della città e vietò che vi si portasse il cibo agli abitanti; mandò fuori frotte di arcieri e balestrieri ad insultare i Templari ed i pellegrini; infine fece prendere vari frati predicatori che gli aizzavano contro il popolo e li fece frustare sulla pubblica piazza.


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