l'Europa tra il 1229 ed il 1235
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1234: la pace in Europa

Il Pontefice rivolse nuovamente l'animo all'organizzazione di nuova Crociata. Convocò a Spoleto una assemblea dove intervenne Federico II, il Patriarca di Costantinopoli Simone, il Patriarca di Antiochia Alberto Roberti ed il Patriarca di Gerusalemme Geroldo di Losanna. Li fu deciso di ricominciare la guerra in Palestina, nonostante la tregua firmata da Federico II col Sultano d'Egitto.


il Califfo di Bagdad Al-Mustansir

Mentre si preparava questa nuova spedizione, il Papa spedì alcuni frati in Siria per convertire gli infedeli e scrisse a Al-Mustansir, Califfo abbaside di Bagdad, al Sultano di Damasco Al-Ashraf ed agli altri principali capi musulmani, esortandoli ad abbracciare il Cristianesimo.

In queste sue lettere il Pontefice cercava di far comprendere ai Principi musulmani che Cristo era stato annunziato dai profeti e che la sua divinità era stata provata da molti miracoli e minacciava il Sultano di Damasco Al-Ashraf dello sdegno divino se rifiutava credere in Gesù Cristo.

I missionari non ottennero alcun risultato e nemmeno poterono conseguire la palma del martirio, perché i musulmani, reputandoli privi del senno, non facevano loro alcun male.

Il Califfo di Bagdad e gli altri Principi non degnarono d'alcuna risposta il Pontefice, che stimolato da tale spregio, accelerò i provvedimenti della spedizione.

Intanto l'Occidente era pervaso dalle solite fazioni e dalle implacabili inimicizie; così che il Pontefice, che con i suoi missionari non aveva potuto ottenere alcun frutto in Oriente, volle provare se ne otteneva qualche risultato in Europa. Spedì dunque frati domenicani e francescani per tutti gli Stati, affinché predicassero la riconciliazione, la pace e la concordia.


fra' Giovanni da Vicenza

Fra questi missionari divenne famoso fra' Giovanni da Vicenza, che cercò di riconciliare le città di Firenze e di Siena. Da una cronaca dell'epoca, si ricava che questo fra' Giovanni si era attribuito il potere sovrano a Verona, che ridusse alla concordia, riformandovi le leggi e i costumi.

Dopo avere pacificato varie città, annunziò che voleva fare una grande e solenne riunione a Peschiera sulle rive dell'Adige. Tutti gli abitanti delle città vicine vi convennero.

Quando la pianura di Peschiera fu piena di gente, fra' Giovanni salì sopra un alto pulpito che aveva fatto innalzare e cominciò il suo sermone con una spaventosa descrizione dei mali della discordia; concluse proponendo, in nome della chiesa Universale, un trattato di pace sul quale tutti dovevano giurare.

I popoli, stanchi delle loro diuturne intestine discordie, approfittarono agevolmente di questa occasione per pacificarsi e acquistare le forze per nuove contese.

1235: Guelfi e Ghibellini

Una nuova contesa era insorta tra il Pontefice e Federico II, riguardante la sovranità sulla Sardegna. Gregorio IX, non potendo sopportare che l'Imperatore gli contrastasse il suo nuovo desiderio di conquiste, lo scomunicò nuovamente e fece pubblicamente leggere nelle chiese le sue brevi nelle quali lo dichiarava empio, complice degli eretici e dei musulmani e oppressore della religione e della umanità.

Non meno aspro era Federico II nell'accusare il Papa, mettendo in considerazione lo strano abuso che facevano i Pontefici delle cose sacre e dell'autorità spirituale per sostenere e difendere le loro pretese temporali.

Frattanto istigava i Romani alla ribellione alla Santa Sede e chiamava tutti i principi d'Europa in sua difesa, dimostrando come la sua causa fosse comune a tutti e che se nessuno si levava contro l'ambizione della Corte Romana, in breve tutti sarebbero diventati succubi della sua tirannide.

Il Papa, incollerito più che mai, scagliava scomuniche senza posa ed arrivò fino a predicare una Crociata contro l'Imperatore, asserendo che era più meritorio combattere contro un Principe ribelle alla Chiesa, che liberare Gerusalemme.

Le ire e la contese crebbero con tanta animosità delle parti che gli imperiali Ghibellini eccedevano nella irriverenza alla Chiesa e i papisti Guelfi negavano perfino la legittimità di qualunque autorità temporale.

Gregorio IX, per accrescere sempre più l'incendio di questa guerra e trovare il modo per vendicarsi del suo nemico, promise la corona imperiale a quel principe che avrebbe preso le armi contro Federico e lo detronizzava.

Davanti al Re di Francia Luigi IX ed ai suoi baroni fu letta una lettera apostolica nella quale il Pontefice prometteva di consegnare al Conte Roberto I d'Artois, fratello del Re, la corona imperiale e la corona di Sicilia se la Francia avesse mosso guerra all'Imperatore.

Ai signori del regno di Francia tale proposta parve strana; questi fecero notare ai messi papali che il Pontefice non combatteva contro Federico come nemico della fede, ma come intollerante del suo giogo e che suscitava tante turbolenze nel mondo cristiano, non per l'incremento della religione, ma per avere un Imperatore che servisse vilmente alla sua ambizione; perciò non ritenevano di dover favorire il Papa con le loro armi, perché, per quanti cambiamenti potesse operare, non si sarebbe mai acquetato fintanto che non avesse conseguito il fine della sua cupidigia.

Cominciarono frattanto le ostilità. Federico II dopo avere sconfitto i Milanesi, mosse il suo esercito contro Roma. Il Papa, non avendo che armi spirituali, non ebbe altro rimedio che ingannare la città con le processioni, mostrando ai Romani le reliquie degli apostoli e, piangendo, gridava: “o Romani io non posso difendere queste cose sacre senza il vostro aiuto”

Queste suppliche del Pontefice commossero la nobiltà e il popolo romano che decisero di difendere la città contro le forze di Federico II, così che quando l'Imperatore giunse alle porte di Roma con le sue genti, trovò i Romani preparati a resistergli e, benché ponesse sotto assedio la città, non riuscì a conquistarla.

Frattanto l'odio, che sino ad allora era personale fra i due nemici, si comunicò ai popoli e li divise in accanite fazioni, riempiendo tutta l'Italia dei tumulti della guerra civile.


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