la contesa tra Papato e Impero
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In alcuni Concili ai cavalieri cristiani erano state vietate le feste profane dei tornei; il Concilio di Lione rinnovò tale divieto, convinto che le feste militari potessero sviare gli animi dei guerrieri dal pio pensiero della Crociata e che le spese per partecipare ai tornei avrebbero posto in difficoltà i più valorosi signori che dovevano fare i necessari preparativi per il passaggio d'oltremare.

Il Concilio stabilì anche che il clero doveva pagare un ventesimo delle sue rendite, mentre il Pontefice e i Cardinali ne dovevano pagare la decima parte; il tutto per finanziare le spese della Guerra Santa.

I decreti del Concilio imposero a tutti coloro che predicavano la parola di Dio, di invitare i Principi, i Conti, i Baroni e le Comuni delle città, a contribuire al finanziamento della Crociata e raccomandavano al clero di fare intendere ai popoli che le oblazioni fatte per la Crociata erano un mezzo efficace per lavare i propri peccati.

Siccome nell'assemblea non c'era nessuno che parlava delle devastazioni dei Mongoli nonostante che il Pontefice le avesse enumerate fra le cinque piaghe della cristianità, non fu deliberato di predicare la Crociata contro i Mongoli. Nello stato di desolazione in cui si trovava il regno di Ungheria, nessuno di quei Vescovi poté intervenire al Concilio e nessuno parlò in favore della nazione ungherese.

Ma i Mongoli, cacciati dalla fame e dalle conseguenze delle loro stesse devastazioni, si erano allontanati dalle rive del Danubio minacciando i Cristiani con l'intenzione di ritornare presto a fare danni. Per prevenire nuove invasioni, i popoli del Sacro Romano Impero furono esortati a scavare fossati e alzare alte mura sulle strade dove sarebbero passate le orde dei Mongoli.

Ma questo suggerimento fu ricevuto con indignazione da quei popoli i quali non concepivano il fatto che si facesse una raccolta di eserciti e di tesori per andare a combattere in Oriente e si lasciavano poi aperte le porte dell'Occidente a dei barbari feroci che facevano le loro irruzioni non per conquistare paesi e città ma per distruggere e sterminare tutto.

1245: la scomunica di Federico II

Intanto l'Imperatore Federico II chiedeva il soccorso di tutta l'Europa per cacciarne i Mongoli; contemporaneamente il Pontefice chiedeva aiuti per cacciare dall'Impero Federico II. Nella seconda sessione del Concilio il Papa disse apertamente che voleva schiacciare la testa del Dragone con le folgori evangeliche.

Allora Taddeo da Sessa chiese di nuovo che si soprassedesse per alcuni giorni e che si aspettasse l'arrivo dell'Imperatore, che era imminente. La stessa cosa chiedevano gli ambasciatori d'Inghilterra e di Francia, per cui il Pontefice, non potendo fare altrimenti, acconsentì a rinviare l'argomento per due settimane.

Dall'altra parte l'Imperatore reputava inutile andarsi a giustificare davanti ad una assemblea convocata dal più implacabile dei suoi nemici; per cui, scaduto il termine, il Pontefice ritornò a parlare ai padri del Concilio su quale e quanta fosse l'ostinazione dell'Imperatore contro le leggi della Chiesa.


Federico II e la Regina Bianca Lancia

Il Pontefice era già sul punto di scagliare sull'Imperatore una nuova scomunica quando improvvisamente gli ambasciatori inglesi si alzarono in piedi per lamentarsi degli agenti della Corte Romana, la cui ambizione ed avidità minava il clero di Inghilterra, per cui la nobiltà e il popolo si erano uniti per implorare la giustizia della Santa Sede.

Queste affermazioni non poterono frenare l'ira del Pontefice, sempre pronta a scoppiare. Invano si alzò Taddeo da Sessa e fece notare ai padri del Concilio che, a causa dell'assenza di molti Vescovi e di molti ambasciatori dei Principi, non potevano concludere con una sentenza sommaria.

Ma nulla poté arrestare l'inesorabile sentenza. Innocenzo IV prima rispose con moderazione agli ambasciatori di Inghilterra ed a quelli di Federico II, ma poi, prendendo il tono di giudice, disse:
“Io sono vicario di Cristo; tutto quello che legherò sopra la terra, sarà in cielo legato secondo la promessa del figlio di Dio al principe degli Apostoli e perciò, dopo matura deliberazione fatta coi miei fratelli i Cardinali e con i padri di questo Concilio, dichiaro Federico reo convinto di sacrilegio, di eresia, di fellonia, di spergiuro, scomunicato e decaduto dall'Impero e prosciolgo per sempre dal loro vincolo tutti quelli che gli hanno giurata fedeltà; proibisco che alcuno gli renda obbedienza e dichiaro fin da ora scomunicato chiunque gli obbedirà; comando per ultimo agli elettori di eleggere un altro Imperatore ed io mi riservo il diritto di disporre del regno di Sicilia”.

La maggior parte dei padri del Concilio applaudì alla sentenza del Pontefice. Ricomposta in silenzio l'assemblea, Taddeo da Sessa si levò e disse: “Ormai gli eretici possono cantare vittoria, i Corasmi e i Mongoli regneranno sul mondo!”

Il Pontefice, mostrando serena tranquillità nel volto, intonò il Te Deum e, proclamata la chiusura del Concilio, si ritirò dicendo: “Io ho fatto il mio dovere, Dio faccia la sua volontà”.

Federico II era a Torino quando ricevette la notizia della sua condanna. Egli allora si fece subito portare la corona imperiale e, ponendosela sul capo, con terribile voce disse:
“Eccola sul mio capo e, prima che mi sia tolta, i miei nemici proveranno il terrore delle mie armi; tremi quel Papa che infrange tutti i legami che mi univano a lui e mi costringe a dar libero corso al mio giusto sdegno!”

L'odio che provava sia l'Imperatore che il Pontefice si trasmisero rapidamente agli animi dei popoli, che si levarono armati in tutte le provincie di Germania e di Italia e certamente Gerusalemme sarebbe stata dimenticata se il Re di Francia non si fosse messo a capo della Crociata decretata nel Concilio di Lione.

1246: la situazione in Europa

Intanto si predicava la Crociata in tutte le contrade d'Europa ma, essendo tutto l'Occidente pieno di turbolenze, pochi davano ascolto alle prediche dei missionari.

Quando il Vescovo di Beirut si recò in Inghilterra per esortare il Re Enrico III a soccorrere i Cristiani d'Oriente, il monarca era occupato nella guerra contro la Scozia ed a reprimere le turbolenze del Galles. Molti baroni si erano alleati contro di lui mettendo in gran pericolo il suo trono ed egli non solo non volle prendere la Croce, ma proibì anche che nel suo regno si predicasse la Crociata.


Enrico III d'Inghilterra

Tutta la Germania era divisa tra Chiesa e Impero. Il Papa Innocenzo IV, dopo aver scomunicato e deposto l'Imperatore Federico II nel Concilio di Lione, offrì la corona imperiale a chi si fosse armato contro lo scomunicato. Il Langravio di Turingia Enrico Raspe IV, persuaso dalle promesse del Pontefice, fu eletto Imperatore dagli Arcivescovi di Magonza e di Colonia e dai Duchi d'Austria, di Sassonia e del Brabante.

Scoppiò la guerra civile; la Germania era piena di sostenitori del Pontefice che, con la parola evangelica, con le spade, con i veleni e con le congiure, combattevano contro Federico II ed i suoi partigiani. Le immense somme raccolte col pretesto della Crociata, furono spese per corrompere la fedeltà dei sudditi dell'Imperatore, o per ordire contro di loro congiure e tradimenti.

Né meno della Germania era sconvolta l'Italia; i Guelfi e i Ghibellini erano continuamente alle mani. Tutte le repubbliche di Lombardia si erano alleate per combattere i partigiani dell'Imperatore; il Papa perseguitava con le minacce e con le armi spirituali e temporali qualunque città si voleva mantenere neutrale e immune da tanti furori.

In Italia, gli emissari del Papa inveivano contro la tirannide tedesca e magnificavano il governo pontificio come liberale e paterno. Il Pontefice mandò anche due Legati nel regno di Sicilia, con lettere per il clero, per la nobiltà e per il popolo nelle quali si diceva:
“Reca in vero meraviglia che sotto il vergognoso giogo della schiavitù che vi opprime, non abbiate sinora avuto il desiderio della libertà della quale molte nazioni vi hanno già dato l'esempio. Tutti vi condannano, la Santa Sede però vi commisera, sapendo quale timore incute ai vostri cuori il giogo crudele del nuovo Nerone”.

Il Pontefice concludeva la sua lettera dicendo ai Siciliani che Dio non li aveva collocati in quella fertile regione e sotto un cielo clemente per sopportare le vergognose catene e che, togliendosi dal collo il giogo dell'Imperatore, si sarebbero conformati ai fini della divina Provvidenza.


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