1480: il primo assedio di Rodi

Nel 1453 Maometto II aveva conquistato Costantinopoli e, in pochi anni, il sultano turco conquistò tutto il Peloponneso, Trebisonda, Mitilene, l'Eubea, parte dell'Albania, le colonie genovesi della Crimea, la Serbia. A sbarrargli il cammino verso l'Europa c'era, ormai, soltanto Rodi.


Pierre d'Aubusson
presiede ai lavori alle fortificazioni
(miniatura da un manoscritto di Guillaume Coursin)

Il Priore d'Alvernia Pierre d'Aubusson, che sostituiva il Gran Maestro Giovanni Battista Orsini, vecchio e malato, si adoperò per rendere Rodi imprendibile, aumentando le opere di fortificazione, erigendo nuove mura e torri, batterie difensive e allargando i fossati.

La sua opera continuò una volta eletto Gran Maestro (1476) e fu accompagnata da una forte presa di posizione diplomatica, con risposta negativa alle continue ingiunzioni da parte del Sultano Maometto II di pagare un tributo o di smettere di molestare le navi turche nell'Egeo.

Ma che cosa portò il Sultano a concepire di invadere Rodi? Gli storici concordano sulla responsabilità di alcuni rinnegati rodioti che vivevano a Costantinopoli e che insistevano sulla debolezza della città.

Nel 1479 fu chiaro a Pierre d'Aubusson ed ai suoi Consiglieri che l'attacco era imminente: già in quell'anno il comandante in capo della flotta turca Mesih Paşa fu inviato con un certo quantitativo di galee a perlustrare l'isola.

Mesih Paşa fece sbarcare le sue truppe, incendiò alcuni casolari e solo dopo aver subito notevoli perdite si ritirò a Marmarica, sulla costa anatolica, a sole diciotto miglia da Rodi, per svernare aspettando l'arrivo della flotta e dell'esercito ottomano in primavera.


l'attacco turco alla torre di San Nicola
(miniatura da un manoscritto di Guillaume Coursin)

Al comando delle operazioni ottomane, che cominciano il 23 maggio 1480 con l'imbarco delle fanterie a Marmara, c'era proprio Mesih Paşa.

Le forze schierate dagli Ottomani erano immense, di gran lunga maggiori di quelle dei Cavalieri: 160 navi e circa 100.000 uomini che portavano con loro un gran numero di cannoni. Ebbe così inizio uno dei più grandi assedi della storia.

A fronteggiarli c'erano circa 600 Cavalieri, e una cifra di mercenari e milizie locali ondeggiante fra i 1.500 e 2.000 uomini. I Cavalieri potevano inoltre utilizzare una batteria tre basilischi (potenti bocche da fuoco lunghe fino a sette metri che sparavano proiettili con un diametro fino ai 70 centimetri).

L'azione dei Turchi, sbarcati sulla spiaggia di Trianda, fu diretta subito contro la torre di San Nicola, che separava il porto militare da quello porto commerciale. Se la torre fosse stata annientata, i due porti sarebbero stati vulnerabili. Frattanto altri numerosi cannoni bombardavano le mura e le case dall'alto, seminando il terrore fra i civili.

Guillaume Caoursin, vice-cancelliere dei Cavalieri di San Giovanni, lasciò una descrizione dell'evento:
“Le macchine dei nemici, con un assalto violentissimo, scossero le mura e distrussero il loro rivestimento di solide pietre. Tanta, infatti, era la violenza del getto di quelle catapulte, che destò lo stupore di tutti…. Nessuno di quelli che abitava a Rodi, dove conveniva gente di ogni parte della latinità, fu trovato che non affermasse che mai, in nessun tempo, aveva visto o sentito parlare di macchine del genere. …


gli ufficiali turchi discutono i piani di attacco
(miniatura da un manoscritto di Guillaume Coursin)

Quando infatti lanciavano i massi, al momento del getto, producevano un gran rimbombo, che riecheggiava come un tuono; e il fumo, simile ad una grossa nube, veniva trasportato per aria dal vento per lungo tempo. … [il nemico] cominciò allora a tormentarci con un nuovo terrore. Collocò infatti da ogni parte catapulte e mortai, che colpivano di traverso, distruggevano gli edifici della città, e schiacciavano gli uomini. …

Un grande terrore si impadronì del popolo, che vedeva questi massi così grandi che sfrecciavano nell'aria. Questo fatto suscitò nei nostri non poca angoscia. Tuttavia più di notte che di giorno si diffondeva il terrore: nessuno infatti poteva dirsi al sicuro nelle proprie case. Si cercava così, disperatamente, un qualsivoglia nascondiglio: in disgrazie del genere, questo è il rimedio che trova la mente umana”.

In un'occasione così tragica il Gran Maestro mostrò subito la propria lungimiranza ed intelligenza, capendo immediatamente la gravità della situazione, allestendo dei rifugi in vari punti della città, per garantire l'incolumità alle donne, agli anziani, ai bambini ed ai malati.

Sebbene fosse stato costruito e ristrutturato in maniera da resistere agli assalti, la torre di San Nicola cominciò a cedere sotto il bombardamento dei cannoni nemici. Pierre d'Aubusson allora capì la necessità di rafforzare la torre, utilizzando le rovine, abbassandola ma aumentando lo spessore delle sue mura.

L'opera di rafforzamento, condotta tanto dagli schiavi che dai soldati e dai rodioti, fu continua e durò per tutto l'assedio e fu diretta alla conservazione della struttura, trasformandola in una fortificazione in grado di sostenere l'urto dei Turchi che avevano gettato un ponte di legno sul porto militare.


il Gran Maestro alla testa del suo esercito
(miniatura da un manoscritto di Guillaume Coursin)

Il 28 maggio fu un giorno fondamentale per due eventi. Il Gran Maestro inviò un dispaccio a tutti i Cavalieri residenti in Europa con l'esortazione a raggiungerlo per “combattere per Cristo”. A causa della difficoltà di comunicazione e di collegamento e per il blocco navale esercitato dai turchi, i soccorsi non poterono giungere, eccezion fatta per una nave siciliana carica di grano e di truppe.

Il secondo evento venne ampiamente descritto da Guillaume Caoursin:
“un tedesco rinnegato, capo bombardiere dell'esercito ottomano, passò le linee e chiese di essere accolto a Rodi, dicendo di “essere spinto dall'ardore religioso”.

Pierre d'Aubusson accettò la sua offerta ma prudentemente lo fece affiancare da sei Cavalieri per spiarne le intenzioni, osservando quanto dicesse o facesse. Frattanto il pesante bombardamento sulla torre di San Nicola continuava incessante, palesando così l'intenzione turca di sferrare un attacco che avrebbe potuto rivelarsi fatale per i Cavalieri.

Una mattina di giugno alcune “triremi” turche aggirarono l'Akra Milos, il promontorio che separa Trianda da Rodi, e puntarono verso la torre di San Nicola attraverso la foschia. Le navi erano state radicalmente trasformate dai carpentieri che avevano piazzato delle piattaforme da combattimento sulle prore.

L'attacco si risolse in un massacro degli Spahis, truppe scelte ottomane, che si tuffavano con grande coraggio dalle navi per raggiungere la riva a nuoto: molti vennero uccisi ancora in mare dalle frecce e dai quadrelli (le “frecce” delle balestre) e i pochi che raggiunsero le palizzate erette intorno al forte vennero arsi vivi col fuoco greco o abbattuti dai fendenti delle spade dei soldati che si erano posizionati lungo le palizzate.


il Gran Maestro da disposizioni ai Cavalieri
(miniatura da un manoscritto di Guillaume Coursin)

Inoltre la flotta ed i soldati turchi erano tenuti sotto il costante tiro dei cannoni che Pierre d'Aubusson aveva fatto posizionare tanto alla torre di San Nicola che al Bastione di Francia che fronteggiava il molo.

I sopravvissuti cercarono rifugio sulle navi danneggiate gravemente dall'artiglieria dei Cavalieri: una nave esplose e le altre richiesero lunghe riparazioni.

Il Gran Maestro per esaltare la vittoria “… in groppa ad uno splendido cavallo, accompagnato dal suo glorioso esercito, entrò in città alla maniera di chi celebra il trionfo, e fece visita al santuario, rese grazie…”.

La reazione turca non si fece attendere: il bombardamento della città fu intensificato e la notte tra il 18 ed il 19 giugno un secondo ed ancor più potente attacco fu mosso contro il forte di San Nicolò.

Questa volta furono i giannizzeri, i reparti meglio addestrati tra quelli agli ordini di Mesih Paşa, ad ingaggiare una lotta furibonda. Le navi turche trascinarono un nuovo pontone galleggiante sul quale presero posto i giannizzeri, ma questo fu ben presto fracassato dai colpi dell'artiglieria dei Cavalieri, che poco dopo colò a picco anche tre galere e altre imbarcazioni minori.

La notte rodiota fu rischiarata dai colpi di artiglieria di entrambe le parti, tuttavia senza che la città o le fortificazioni di Rodi avessero a patire molti danni. All'alba la flotta turca si ritirò lasciando sulle acque del porto militare centinaia di cadaveri.

Guillaume Caoursin riportò una cifra di morti pari a 2.500 uomini e scrisse:
“Ah, che spettacolo impareggiabile vedere per tre giorni interi i cadaveri dei nemici giacere sulla spiaggia, fulgidi per l'oro, l'argento e le vesti decorate, e molti fluttuare nel mare, portati a galla, come è naturale, dalla natura!”.


i turchi si preparano alla battaglia
(miniatura da un manoscritto di Guillaume Coursin)

Frattanto c'era chi, all'interno della città, cercava di salvare la propria vita, complottando per consegnarla al nemico. Il primo fu un complotto teso all'avvelenamento del Gran Maestro di cui fu responsabile un soldato di ventura dalmata che, una volta scoperto e condannato a morte, fu tuttavia linciato dalla folla mentre veniva condotto al capestro.

Il secondo riguardava proprio quel tedesco rinnegato che era giunto a Rodi nei primi giorni d'assedio: messo alle strette ed interrogato dai Cavalieri, insospettiti dall'impraticabilità e rischiosità di certi piani strategici che consigliava a Pierre d'Aubusson e dall'arroganza con cui si rivolgeva a chicchessia, confessò finalmente di essere sempre rimasto fedele ai Turchi e di essere giunto in città come spia. Fu pubblicamente impiccato tra il giubilo della popolazione.

In seguito Mesih Paşa inviò un ambasciatore per dissuadere i Cavalieri dal resistere, ma questo tentativo non servì a piegare l'animo dei difensori. Frattanto il bombardamento incessante continuava, pregiudicando l'integrità della cinta muraria, sebbene il Gran Maestro avesse provveduto a fare rafforzare i bastioni e ad abbattere le case abbandonate ed in rovina che potevano propagare gli incendi.

Il 28 luglio i musulmani sferrarono l'attacco definitivo. Più di 3500 proiettili vennero impiegati nel corso del cannoneggiamento che ridusse alcuni punti delle mura a un cumulo di rovine.


Turchi e cavalieri di San Giovanni si fronteggiano
(miniatura da un manoscritto di Guillaume Coursin)

La tattica adottata da Mesih Paşa fu quella di aprire il fuoco sul tratto di mura tra il quartiere ebraico e la Torre d'Italia, far avanzare prima i başibozuk (soldati irregolari senza stipendio che vivevano di bottino) e poi far attaccare i giannizzeri che avrebbero sfondato le ultime resistenze di Rodi.

Inizialmente i piani di Mesih Paşa sembrarono essere ben attuati: incalzati da un gruppo di militari ottomani che li sferzavano con le fruste e li minacciavano di morte se fossero indietreggiati, i başibozuk si lanciarono sul terrapieno formato dalle rovine delle mura e guadagnarono in breve tempo la cima dei bastioni, trucidando i militari di presidio.

A questo punto tutti i difensori, compresi i mercanti e i Cavalieri più anziani, si gettarono sugli invasori per fermarne l'irruzione all'interno delle mura. Lo stesso Gran Maestro si mise alla testa degli armati, affiancato dal fratello, il principe Antoine d'Aubusson, guerriero di grande valore, e fu ferito quattro volte, prima che un giannizzero con un colpo di lancia gli perforasse la corazza ledendogli un polmone.

Il Gran Maestro a quel punto fu trascinato nelle retrovie per essere medicato mentre 2500 giannizzeri e altre migliaia di soldati conquistavano la Torre d'Italia piantandovi sopra le bandiere del profeta.

Ormai i nemici dilagavano nella città e la battaglia sembrava essere definitivamente perduta, mentre, nonostante le numerose ferite riportate, il Gran Maestro esortava i suoi a respingere gli avversari che tornarono più volte alla carica. Poi, all'improvviso, i nemici cominciarono a ritirarsi disordinatamente e velocemente, come se fuggissero.

Guillaume Caoursin spiegò questa ritirata secondo quanto gli riferirono alcuni disertori turchi:
 “…quando i vessilli del Nostro Signore Gesù Cristo, e della Vergine Maria, e di San Giovanni Battista e dell'ordine dei gerosolimitani furono innalzati, per ordine del principe [Antoine d'Aubusson], durante il conflitto, i nemici avevano visto in caria una lucentissima croce d'oro, ed era apparsa sopra di essa una fulgentissima vergine che reggeva uno scudo e una lancia, ed un uomo, avvolto in una veste fiammeggiante, accompagnato da uno splendidissimo seguito, era venuto in aiuto dei cristiani.
Questa apparizione incusse in loro tanto terrore, che in nessun modo osarono avanzare. Bisogna anche riconoscere che questa vittoria fu fatta scendere dal cielo. In che modo un numero tanto esiguo di nostri soldati avrebbe potuto resistere ad un nemico potentissimo, che si era già impadronito delle mura, se non fosse sopraggiunto l'aiuto divino? In che modo, in uno spazio di tempo tanto breve, si sarebbe potuto uccidere tante truppe nemiche, se un angelo di Dio non avesse portato la vittoria e non avesse massacrato i nemici?”


l'ambasciatore turco parla con il Gran Maestro

l'attacco dei başibozuk

Probabilmente fu l'enorme mole di soldati turchi uccisi, in uno spazio tanto esiguo come quello della breccia nelle mura, a causare la rovina degli assalitori, intralciandone il cammino, e non appena un gruppo di başibozuk si trovò a fronteggiare gli avversari, fu colto dal terrore di essere ucciso dai giannizzeri che si trovavano alle loro spalle. I başibozuk, quindi, trovandosi in mezzo ai due gruppi di militari incominciarono ad indietreggiare ed a gettarsi giù dai parapetti trascinando altri uomini nella loro caduta.


contrattacco dei Cavalieri

i turchi in ritirata abbandonano i loro compagni

I Turchi in meno di dieci giorni levarono le tende e si radunarono sulla spiaggia di Trianda e qui rimasero undici giorni ancora, prima di imbarcarsi definitivamente. Vi fu ancora un'azione navale ai danni di due navi inviate da Re Ferrante di Napoli che riuscirono a forzare il blocco navale turco e a sbaragliare ben trenta navi avversarie con non poca difficoltà.


1480: il Gran Maestro Pierre d'Aubusson si fa curare una ferita alla gamba durante l'assedio di Rodi

Queste navi portavano provviste e lettere del sovrano napoletano e di Papa Sisto IV che comunicavano il prossimo arrivo di rinforzi. Guillaume Caoursin narra che gli assediati elevarono preghiere di ringraziamento a Dio e che “questa voce giunse anche alle orecchie dei Turchi, che, spaventati affrettarono la partenza già iniziata”. Il 17 agosto del 1480 l'esercito e la flotta del Sultano, dopo 89 giorni assedio, salparono per l'Anatolia.

Maometto II dovette ammettere che un pugno di uomini era riuscito a battere l'impero Ottomano. Mesih Paşa, nonostante la sconfitta, ebbe salva la vita e fu esiliato dal Sultano a Gallipoli.


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