1522: il secondo assedio di Rodi


le truppe ottomane attaccano i bastioni di Rodi

I Cavalieri avevano catturato Rodi all'inizio del XIV secolo, dopo aver perso San Giovanni d'Acri, ultima fortezza crociata in Palestina, nel 1291. L'Impero Ottomano aveva già lanciato un primo assedio all'isola di Rodi nel 1480, ma i Cavalieri riuscirono a respingerli.

Nel 1520 sul trono degli Ottomani salì Solimano il magnifico. La presenza dei Cavalieri a Rodi, così vicina alla costa meridionale dell'Anatolia, non gli permetteva di consolidare la supremazia della sua flotta ed era il principale ostacolo per la sua espansione, per questo doveva cercare di conquistarla.

Nel 1521, Philippe Villiers de L'Isle-Adam venne eletto Gran Maestro dell'Ordine. Aspettandosi un nuovo attacco Ottomano, inviò richieste di aiuto a tutti i sovrani cattolici, ma nessuno rispose.

L'Ordine era solo di fronte all'impero ottomano; il Gran Maestro continuò allora a rinforzare le fortificazioni della città (lavoro che già i suoi predecessori avevano iniziato prima dell'invasione ottomana del 1480 e dopo il terremoto del 1481) e richiamò da tutta l'Europa tutti i Cavalieri dell'Ordine per difendere l'isola.

Gli Altri paesi europei invece ignorarono la sua richiesta d'aiuto, ottenne solo alcune truppe veneziane stanziate a Creta.

La mattina del 6 giugno del 1522, la flotta di Solimano era all'orizzonte; 280 di navi si avvicinavano lentamente. La vista delle fortificazioni di Rodi dava forti preoccupazioni agli attaccanti: una doppia cinta di mura e ovunque cannoni pronti a far fuoco; intanto il Gran Maestro aveva già ordinato di incendiare le case per evitare che i nemici vi potessero trovare rifugio.


l'attacco degli Ottomani

Le navi degli Ottomani erano guidate dal cognato del Sultano e secondo Visir, Mustafa Pasha; il suo esercito comprendeva circa 100.000 uomini, compresi 10.000 Giannizzeri. Migliaia di giannizzeri sbarcarono dalle navi e le colline circostanti si coprono di vessilli e di tende. Quando i turchi aprirono il fuoco, l'isola parve incendiarsi. Dalla città i cannoni risposero.

La città di Rodi era protetta da due, e in alcuni punti anche tre, anelli di mura e diversi grossi baluardi. La difesa delle mura e dei bastioni venne assegnata in sezioni alle varie “Lingue”. In tutto un totale di 6-7.500 uomini, di cui solo 290 circa erano Cavalieri, mentre il resto erano quasi tutti mercenari.

Tutti i contadini che non si erano rinchiusi nei castelli di Lindos, Faraclos e Monolitos, affluirono nella città con le loro famiglie e gli animali e durante l'assedio aiutarono come possibile. L'ingresso nel porto venne bloccato da una pesante catena di ferro, dietro la quale era ancorata la flotta dell'Ordine.

La tattica offensiva degli Ottomani fu diversa da quella del 1480. L'attacco avvenne sostanzialmente contro la fortificazione sulla terraferma, mentre l'enorme flotta turca dalla parte del mare sbarrava i porti.

L'artiglieria degli Ottomani iniziò a bombardare a ritmo serrato le postazioni delle “lingue” di Spagna, Inghilterra e Provenza, nel frattempo cercavano di oltrepassare le fortificazioni scavando tunnel o provando a farle saltare con delle mine.

La fanteria Ottomana sferrò attacchi ad ondate successive che però non ebbero successo; al contrario, anzi, oltre al fuoco micidiale che ricevettero dalle mura, i contrattacchi dei Cavalieri seminarono la morte.


Solimano
(dipinto di Cristofano dell'Altissimo)

L'esercito Ottomano, fino ad allora famoso per la combattività e disciplina, iniziò a demoralizzarsi e nei suoi ranghi si manifestarono segni di insubordinazione.

Di fronte a questa situazione l'ammiraglio Ottomano Piri Reìs avvisò il Sultano di affrettare il suo arrivo a Rodi. Solimano arrivò il 28 luglio con 120 navi ed un esercito di rinforzo di ulteriori 100.000 uomini. In totale le navi raggiunsero il numero di 400, grandi e piccole, mentre l'esercito Ottomano raggiunse le 200.000 unità.

La lotta continuò da allora giorno e notte a ritmo incessante e con lo stesso vigore da parte dei due avversari. Gli Ottomani scavarono dei cunicoli per penetrare in città o per far saltare in aria sezioni della cinta e far passare di lì la fanteria.

I Cavalieri riuscirono quasi sempre a neutralizzarli. Un poderoso attacco contro la “lingua” d'Inghilterra si risolse in una strage per l'esercito Ottomano. Quel giorno morirono circa 2.000 Turchi.

In un successivo attacco alla postazione della “lingua” d'Inghilterra gli Ottomani persero 3.000 uomini. Le mura della postazione della lingua d'Italia si trasformarono in un ammasso informe a causa dei cannoni del Pascià. Agli inizi di Settembre si presentarono spontaneamente nell'accampamento di Solimano dei rappresentanti delle isole di Nissiros e Tilos e gli consegnarono le chiavi dei loro castelli.

Il fuoco dell'artiglieria turco, sino ad allora era stato troppo debole per danneggiare seriamente le massicce mura, ma il 4 settembre, dopo 5 settimane d'assedio, due mine esplosero sotto la postazione della “lingua” d'Inghilterra. Circa 18 metri di mura crollarono riempiendo il fossato, l'altissimo campanile di S. Giovanni, crollò e la torre di San Nicola venne semidistrutta.


i giannizzeri sparano contro i Cavalieri

Gli invasori si lanciarono all'assalto attraverso quell'apertura, ma appena presero il controllo, subirono il contrattacco degli inglesi di Frà Nicholas Hussey e del Gran Maestro Villiers de L'Isle-Adam che li respinsero fuori le mura. Gli ottomani nello stesso giorno attaccarono un altro paio di volte ma grazie anche ai rinforzi dei Cavalieri tedeschi, gli inglesi riuscirono a proteggere quell'apertura.

Il 24 settembre, Mustafa Pascià ordinò un nuovo massiccio assalto contro le postazioni di difesa delle “lingue” di Spagna, Inghilterra, Provenza ed Italia. Gli avversari lottarono corpo a corpo. Gli attacchi si succedettero ai contrattacchi.

La postazione della “lingua” di Spagna cambiò mano due volte. Ma, dopo un giorno di duri combattimenti, i turchi non riuscirono a sconfiggere i Cavalieri che si impadronirono di 40 stendardi Ottomani, mentre mucchi di cadaveri di turchi coprivano la zona attorno al castello.

Il mare vicino alla postazione dell'Italia si colorò di rosso per il sangue dei morti e dei feriti, come nell'assedio del 1480. Gli Ottomani lamentarono 15-20.000 morti. I cristiani più o meno 200, mentre i feriti furono 150. In questa battaglia tutti gli abitanti della città, compresi i bambini e i vecchi, lottarono senza risparmio per respingere l'attacco.


Philippe de Villiers de l'Isle-Adam
(dipinto di Gillot Saint-Evre)

Alla fine di novembre un altro massiccio attacco venne respinto, ma entrambe le fazioni era diventate esauste: i Cavalieri perché non ricevevano rinforzi e la loro resistenza cominciava a diminuire, mentre i turchi perché erano completamente demoralizzati per via delle enormi perdite e delle malattie che si erano diffuse nel loro accampamento.

L'insuccesso sconcertò il Sultano. Ci furono momenti in cui, deluso, pensò di togliere l'assedio e di ritirarsi. Lo trattennero le informazioni di un fuggiasco albanese e il tradimento del gran cancelliere Andrè d'Amaral. Entrambi lo rassicurarono della grande scarsità di viveri, materiale bellico e sopratutto uomini di cui gli assediati soffrivano. Le fortificazioni erano praticamente rovinate e non c'erano più braccia per ripararle.

Il 27 ottobre fu scoperto il tradimento del gran cancelliere Andrè d'Amaral. Sorpresero il suo servitore Diez che mandava messaggi con delle frecce agli Ottomani e li informava da parte del suo padrone della situazione esistente nella città assediata. Gli interrogatori rivelarono che il traditore si era accordato con i Turchi per aprire una porta e farli entrare in città il 1° novembre, giorno di Tutti i Santi. Il 5 novembre i due complici furono giustiziati.

Alla fine di novembre i turchi sferrarono di nuovo un grande attacco contro le postazioni di Spagna e d'Italia, ma anche questo venne respinto e sul campo restarono 3.000 vittime Ottomane. L'assedio ininterrotto di quattro mesi aveva sfinito i soldati da ambo le parti.

Gli Ottomani astutamente, si rivolsero direttamente al popolo di Rodi. Sapendo quanto fosse a terra il morale della città a causa della fame, delle malattie, delle sofferenze e della paura della morte e, con alcune frecce, lanciarono dei messaggi in città promettendo alla gente comune, in caso di resa della città, la pace, il rispetto della religione e dell'onore ed altro e minacciando che, in caso di espugnazione con le armi, non sarebbero mancate stragi, saccheggi e schiavitù.

All'inizio Villiers de L'Isle-Adam non voleva sentir parlare di resa ma in seguito, viste anche le pressioni dei cittadini, deciso di accettare il negoziato. Venne pattuita una tregua di tre giorni (dal 11 al 13 dicembre), ma quanto i cittadini chiesero ulteriori rassicurazioni sulla loro vita, Solimano infuriato, ordinò di bombardare la città e riprendere gli attacchi.

I bombardamenti ripresero il 17 Dicembre. Il baluardo della “lingua” di Spagna cadde il 17 dicembre e da un momento all'altro la città rischiava di cadere nelle mani musulmane.

Con gran parte delle mura distrutte i Cavalieri non avrebbero resistito ancora a lungo e infatti il 20 dicembre il Gran Maestro chiese una nuova tregua.

Philippe de Villiers de l'Isle-Adam si presentò a Solimano il 22 Dicembre e dichiarò di accettare le condizioni di pace che lui aveva proposto e che in breve, erano le seguenti: i Cavalieri entro dodici giorni potevano andarsene prendendo con sé le armi, tutti i simboli della loro religione tutti i civili cristiani che volevano andarsene.


1523: il Gran Maestro Philippe de Villiers de L'Isle-Adam con i suoi Ospitalieri parte da Rodi
(affresco nel palazzo del Gran Maestro a La Valletta)


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