1187: la battaglia di Hattin

La Battaglia di Hattin, ebbe luogo il 4 luglio 1187 tra il Regno di Gerusalemme crociato e le forze ayyubidi comandate da Saladino. La sconfitta riportata dai crociati decretò la fine del Regno crociato e la riconquista islamica di buona parte della Palestina.


Saladino

La battaglia ebbe luogo il 4 luglio 1187 ad Ḥaṭṭīn (o Ḥiṭṭīn), nei pressi di Tiberiade, in un’area vicina a due colline chiamate i corni di Hattin, fra le forze musulmane del Sultano ayyubide Saladino e quelle crociate comandate da Guido di Lusignano, re di Gerusalemme e successore di Baldovino IV.

Il 26 giugno 1187 l'esercito musulmano si mise in marcia verso Khisfin nelle colline del Golan. Il giorno seguente venne superato il Giordano. Saladino stabilì il suo campo base a Cafarsset (Kafr Sabt), a metà strada tra Saffuriya e Tiberiade.

Il 2 luglio Saladino iniziò l'assedio di Tiberiade, la capitale del Principato di Galilea. Intorno a Tiberiade si schierarono le truppe scelte della guardia, "le ardenti fiaccole dell'Islam", uomini animati da un odio fanatico per i cristiani. Il resto dell'esercito sotto il comando di Taqi al-Din, nipote di Saladino, e di Keukburi, rimase al campo base.


Guido di Lusignano

La sera del 2 luglio Guido di Lusignano radunò il consiglio di guerra a Saffuriya. Prevalse l'opinione di Raimondo, conte di Tripoli: non si doveva andare in soccorso di Tiberiade mettendo a repentaglio l'intero esercito. L'attacco a Tiberiade era un trucco di Saladino per far uscire in campo aperto l'armata cristiana. Ma nella notte il Gran Maestro dei Templari, Gerard de Ridefort, fece cambiare idea a Guido di Lusignano.

Il giorno 3 luglio l'esercito cristiano si mise in marcia. All'avanguardia era Raimondo di Tripoli, al centro era Guido di Lusignano con i vescovi di Lidda e Acri che portavano la santa reliquia della Vera Croce. Baliano di Ibelin guidava la retroguardia con i Cavalieri Templari e i Cavalieri Ospitalieri.

Alla notizia che l'armata cristiana si era messa in movimento Saladino lasciò un piccolo contingente a Tiberiade, ritornò al campo base e inviò delle truppe di cavalleria per disturbare la marcia dei cristiani.


Raimondo III di Tripoli

A mezzogiorno l'esercito aveva percorso 18 chilometri. L'acqua era finita. La zona era desertica. La calura estiva tormentava i fanti e arroventava le corazze dei cavalieri. Tutti erano stanchi per le molte ore di cammino in un territorio impervio. Saladino attaccò la retroguardia che, per difendersi, si dovette fermare. Il grosso dell'esercito musulmano era attestato nelle vicinanze, a Kafr Sabt.

Il conte Raimondo III di Tripoli fece compiere all'esercito una deviazione verso nord per raggiungere le sorgenti di Kafr Hattin, dove avrebbero potuto pernottare, riposarsi e giungere preparati allo scontro il giorno seguente.

Saladino comprese la manovra di Raimondo III di Tripoli ed ordinò a Taqi al-Din e a Keukburi di schierarsi tra Hattin e l'esercito cristiano.

Raimondo III di Tripoli era pronto ad attaccare l'ala destra musulmana guidata da Taqi al-Din, quando giunse l'ordine del Re Guido di Lusignano di fermarsi perché la retroguardia non era in grado di avanzare. I Cavalieri Templari e i Cavalieri Ospitalieri, che erano nella retroguardia, non erano riusciti a contrattaccare efficacemente ed avevano bisogno di tempo per riorganizzarsi.

Guido di Lusignano diede ordine di stabilire il campo dove si trovavano e l'esercito cristiano si apprestò a passare la notte senza acqua.

Saladino ordinò ai suoi di gettare ostentatamente l'acqua nella sabbia. Per tutta la notte grida, canti e tamburi impedirono ai cristiani di riposare.

Saladino intanto completava lo spostamento delle sue truppe. 400 casse di frecce furono distribuite tra i diversi reparti dell'esercito. 70 dromedari carichi di frecce furono predisposti in punti strategici.

All’alba del 4 luglio l'esercito cristiano si rimise in marcia. Saladino aspettò che il sole e la sete facessero la loro opera sui soldati di re Guido di Lusignano.

“Sirio gettava i suoi raggi su quegli uomini vestiti di ferro e la rabbia non abbandonava i loro cuori. Il cielo ardente accresceva la loro furia; i cavalieri caricavano, ad ondate successive nel tremolio dei miraggi, fra i tormenti della sete, in quel vento infuocato e con l'angoscia nel cuore. Quei cani gemevano sotto i colpi, con la lingua penzoloni dall'arsura. Speravano di raggiungere l'acqua, ma avevano di fronte le fiamme dell'inferno e furono sopraffatti dall'intollerabile calura”.

Saladino attaccò la retroguardia, ma i Cavalieri Templari e i Cavalieri Ospitalieri contrattaccarono più volte; allora i musulmani diedero fuoco alle sterpaglie. Il vento portò il fumo verso l'esercito cristiano già tormentato dalla sete. Non fu più possibile vedere il nemico. Le frecce colpivano ovunque.


i vescovi di Lidda e Acri
con la reliquia della Vera Croce

Raimondo III di Tripoli ordinò la carica ai suoi cavalieri. Taqi al-Din aprì le sue fila e lasciò passare i soldati di Raimondo di Tripoli, poi richiuse i varchi; Raimondo si trovò isolato fuori del campo di battaglia e non gli rimase che allontanarsi con i superstiti.

Intorno alla reliquia della Vera Croce la battaglia si fece più aspra. Il vescovo di Acri rimase ucciso e la reliquia passò al vescovo di Lidda.

I cavalieri musulmani si lanciarono contro i pochi sopravvissuti che resistevano intorno al vescovo di Lidda; Taqi al-Din si impadronì personalmente della reliquia della Santa Croce.

Il figlio di Saladino, al-Malik al-Afdal, ci ha lasciato il racconto di quegli ultimi istanti di tensione:

“Quando il re dei Franchi si ridusse sul colle, con quella schiera fecero una carica tremenda sui musulmani che avevano di fronte, ributtandoli addosso a mio padre. Io lo vidi costernato e stravolto, afferrandosi alla barba, avanzare gridando 'Via la menzogna del demonio!', e i musulmani tornare al contrattacco ricacciando i Franchi sul colle. Al vedere indietreggiare i Franchi, e i musulmani incalzarli, io gridai dalla gioia: 'Li abbiamo vinti!'; ma quelli tornarono con una seconda carica pari alla prima, che ricacciò ancora i nostri fino a mio padre. Egli ripeté il suo atto di prima, e i musulmani, contrattaccatili, li riaddossarono alla collina. Tornai ancora a gridare 'Li abbiamo vinti!', ma mio padre si volse a me e disse:'Taci non li avremo vinti finché non cadrà quella tenda!', e mentre egli così parlava la tenda cadde, e il sultano smontò da cavallo e si prosternò in ringraziamento a Dio, piangendo di gioia”.

Centinaia di cavalieri e migliaia di fanti furono catturati. Guido di Lusignano per la sua libertà dovette garantire la consegna di Ascalona. Saladino onorò coloro che avevano combattuto valorosamente e concesse loro di rimpatriare in Europa.

Il Gran Maestro dei Templari, Gerard de Ridefort ebbe la libertà in cambio della consegna di Gaza; Rinaldo di Chatillon venne invece ucciso personalmente da Saladino. Raimondo III di Tripoli morì pochi mesi dopo. Baliano di Ibelin, che era sfuggito alla cattura in battaglia, organizzò la difesa di Gerusalemme e ne trattò la resa con Saladino.

Minore fortuna ebbero i Cavalieri Templari ed Ospitalieri: Saladino li condannò a morte. La strage dei cavalieri avvenne al cospetto di Saladino.

Lo storico arabo Imad al-Din, che era presente all'episodio racconta:
“Saladino promise cinquanta denari a chiunque portasse un Templare o un Ospitaliero prigioniero. Subito i soldati ne portarono centinaia, ed egli li fece decapitare perché preferì ucciderli piuttosto che ridurli in schiavitù. Era circondato da un gruppo di dottori della legge e di mistici, e da un certo numero di persone consacrate alla castità e all'ascetismo. Ognuno di essi chiese il favore di uccidere un prigioniero, sguainò la spada e scoprì l'avambraccio. Il sultano stava seduto con la faccia sorridente, mentre quelle dei miscredenti erano accigliate. Le truppe erano schierate, con gli emiri su due file. Fra i religiosi, alcuni diedero un taglio netto ed ebbero ringraziamenti; la spada di altri esitò e rimbalzò: furono scusati; altri ancora furono derisi e sostituiti. Io ero presente e osservavo il sultano che sorrideva al massacro, scorsi in lui l'uomo di parola e d'azione. Quante promesse non adempì! Quante lodi non si meritò! Quante ricompense durature a motivo del sangue da lui versato! ...”.

Saladino disse:
“Intendo purificare la terra da questi due ordini mostruosi, dediti a pratiche insensate, i quali non rinunzieranno mai all'ostilità, non hanno alcun valore come schiavi e rappresentano quanto di peggio vi sia nella razza degli infedeli”.