1197: la Crociata di Enrico VI
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1197: l'arrivo della terza armata tedesca

Intanto che i Crociati tedeschi combattevano in Siria, l'Imperatore Enrico VI si serviva delle forze che aveva assemblato in nome della Crociata per conquistare la Sicilia.


l'Imperatore Enrico VI

Enrico VI era marito di Costanza d'Altavilla, la quale aveva ereditato il Regno di Sicilia alla morte di Guglielmo II. Tuttavia la nobiltà siciliana aveva preferito eleggere a Re di Sicilia Tancredi di Lecce, cugino di Guglielmo II; inoltre, quando l'Imperatore Federico Barbarossa era impegnato nella Crociata in Terra Santa, Enrico VI e Costanza erano stati costretti a distogliere l'attenzione dalla Sicilia e rimanere nel Regno di Germania, allora in una situazione particolarmente delicata.

Durante la sua marcia in Italia, Enrico VI incontrò poca resistenza e molte città si sottomisero senza combattere; perfino Napoli si arrese subito al vincitore, che proseguì verso la Sicilia. Quando giunse nell'isola, questa era governata dal giovane Guglielmo III d'Altavilla, sotto la reggenza di sua madre Sibilla di Medania.

Messina si arrese subito senza combattere, nel timore di rappresaglie e, quando anche Palermo fu conquistata, Sibilla fu costretta a fare atto di sottomissione in segno di resa al vincitore.

Il 25 dicembre 1194 Enrico VI si incoronò Re di Sicilia, incamerando il regno normanno nei domini dell'Impero. In cambio del trono a Guglielmo e alla madre Sibilla venne offerta la contea di Lecce e Taranto ma pochi giorni dopo, il 28 dicembre, Enrico VI accusò Sibilla di complotto e fece arrestare sia lei, che i suoi figli e tutta la nobiltà a loro fedele.

Intanto Amalrico II di Lusignano, Re di Cipro, si offrì all'Imperatore come suo vassallo e Leone II d'Armenia gli chiedeva il titolo di Re. Ma l'Imperatore, compiuta la conquista della Sicilia, aveva indirizzato il suo pensiero alla Crociata e decise di mandare una terza armata in soccorso dei cristiani della Palestina. Mandò quindi una lettera a tutti i Nobili e Vescovi del suo Impero, ingiungendo loro che affrettassero la partenza dei Crociati.

Promise di mantenere a sue spese un esercito di 50.000 uomini per un anno e si impegnò a pagare trenta once d'oro a tutti quelli che sarebbero rimasti sotto le sue insegne fino al compimento della guerra santa.


Corrado di Querfurt

Accorsero pertanto, allettati da tali promesse, un gran numero di cavalieri e di soldati che subito si misero in cammino per l'Oriente. A capo di questa spedizione venne posto Corrado di Querfurt, Vescovo di Hildesheim e Cancelliere dell'Impero.

Un così potente rinforzo in Palestina fece crescere ulteriormente l'entusiasmo dei Cristiani che ora, con buone speranze di successo, potevano tentare qualche grande impresa: le recenti conquiste di Tiro, Beirut, Sidone ed altre, avevano spaventato i musulmani.

Alcuni capi dell'esercito cristiano proposero che si andasse a conquistare Gerusalemme, ma la maggior parte dei baroni di Siria non osavano sperare tanto; sapevano che, dopo la partenza di Riccardo cuor di leone, le fortificazioni di Gerusalemme erano state aumentate, essendovi stato aggiunto un triplice recinto di mura e di fossati, così che tale conquista era divenuta molto più difficoltosa di quella ai tempi di Goffredo di Buglione; inoltre si avvicinava l'inverno e l'esercito cristiano sarebbe stato costretto a togliere l'assedio a causa dalla stagione piovosa. Queste considerazioni fecero sì che si rimandasse all'anno successivo l'impresa di Gerusalemme.

1197: l'assedio di Toron

Scartata l'idea di assediare Gerusalemme, i capi dell'esercito Crociato cominciarono a pensare a qualche altra conquista. La Città Santa non possedeva in sé altra cosa preziosa se non i suoi monumenti religiosi, ma le città marittime di Siria invece racchiudevano tra le loro mura altre ricchezze che promettevano ai conquistatori migliori guadagni; inoltre avevano comunicazioni più facili con l'Europa, così che la loro conquista era di forte stimolo ai popoli navigatori dell'Occidente ed ai Principi di Palestina.

Tutto il litorale da Antiochia fino ad Ascalona apparteneva ai cristiani, ma la fortezza di Toron, edificata nel 1105 da Ugo di Saint Omer sulle inaccessibili sommità del Libano, era ora detenuta dai musulmani che la utilizzavano per fare spesso scorrerie nelle vicine contrade riconquistate dai cristiani ed impedire le comunicazioni fra le città cristiane. Così che i Crociati decisero di conquistare la fortezza di Toron, prima di andare a Gerusalemme.


rovine del castello di Toron

L'impresa era difficile in quanto la fortezza, che distava una lega da Tiro, era stata fabbricata sopra una rupe circondata da precipizi ed il sentiero che vi conduceva era molto angusto; inoltre i Cristiani non avevano macchine da guerra per assediarla e le frecce e le pietre scagliati dalle falde della rupe non avrebbero raggiunto gli assediati, mentre tutto quello che sarebbe stato lanciato dalle mura sopra gli assalitori ne avrebbe fatto una orribile strage.

Nei primi giorni di assedio i mussulmani, rinchiusi tra le mura della fortezza, si facevano scherno dei vani tentativi dei Crociati, ma quanto più grande era la difficoltà, più grande era l'ostinazione e l'ardore dei Crociati, i quali con incredibile fatica si aprirono delle strade sotterranee. In questo modo i Crociati raggiunsero le fondamenta della fortezza e ne minarono le mura che rovinarono in più punti senza necessita dell'impiego degli arieti.

Allora i musulmani, dopo sei mesi di assedio e di blocco e dopo aver perso ogni speranza di difendersi, offrirono la loro capitolazione. Ma nell'esercito cristiano, che pure aveva tanti capi, nessuno aveva il coraggio di trattare la resa. Al Duca Bernardo III di Sassonia ed al Duca Enrico I di Brabante obbedivano solo i Crociati Tedeschi, mentre Corrado di Querfurt, Vescovo di Hildesheim e Cancelliere dell'Impero era indebolito dalla malattia e stava sempre chiuso nella sua tenda, dove aspettava l'esito delle battaglie e non si degnava neppure intervenire al consiglio dei Principi e dei Baroni.

Così che gli assediati, dopo aver deciso di arrendersi, rimasero diversi giorni senza poter sapere a quale Principe dovevano rivolgersi. Infine inviarono i loro rappresentanti al campo cristiano, dove furono ascoltati da una assemblea generale. Lì si limitarono a chiedere clemenza promettendo di consegnare la fortezza con tutto ciò che vi era dentro, chiedendo solo salva la vita e la libertà.

La maggior parte dei capi erano disposti ad accettare la capitolazione, ma alcuni di loro ritenevano che: “Bisogna che tutti i nostri nemici siano spaventati in modo che non abbiano l'ardire di resisterci. Se il presidio di questa fortezza sarà tutto da noi trucidato, i Saraceni, atterriti, non avranno più il coraggio di aspettarci né in Gerusalemme né nelle altre città che ancora si tengono per loro”.

Ma siccome questo parere non veniva ascoltato, tentarono in ogni modo di interrompere le trattative e, riconducendo i rappresentanti musulmani alla fortezza, dissero loro: “Difendetevi, perché se vi arrenderete i Cristiani vi trucideranno tutti con atroci supplizi”.

Né contenti di ciò, gli avversari della capitolazione si rivolsero ai soldati cristiani dicendo loro che si voleva fare una pace vergognosa con i nemici di Cristo. Nel medesimo tempo quei capi favorevoli alla capitolazione, rivolgendosi ai Crociati, facevano notare come fosse inutile e pericoloso ottenere con la guerra quello che la provvidenza offriva loro senza fatica. Alla fine, dopo non poche discussioni, la capitolazione fu ratificata dai principali capi dei Crociati e dal Cancelliere dell'Impero.


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