1270: la seconda Crociata di Luigi IX
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Frattanto Olivier de Termes, un gentiluomo di Linguadoca, giunse dalla Sicilia ed annunciò che il Re Carlo d'Angiò stava per imbarcarsi con le sue genti. Questa notizia fu ricevuta con gioia, ma non addolcì nessuno dei mali dei quali soffrivano i Crociati.

Il calore eccessivo, la mancanza d'acqua, il cattivo cibo, la pestilenza che proseguiva la sua strage e la sofferenza di vedersi chiusi in un campo senza poter combattere, completarono l'abbattimento dei soldati e dei loro capi.

Luigi li incoraggiava con buone parole e con l'esempio. ma egli stesso si ammalò di dissenteria. Anche il Principe Filippo, il Conte Giovanni Tristano di Nevers, il Re Tebaldo II di Navarra ed il Legato Pontificio vennero aggrediti dal contagio.


La tenda di Luigi IX sulla costa di Tunisi
(dipinto di Jean Antoine Théodore de Gudin)

Il Conte di Giovanni Tristano Nevers era nato a Damietta durante la prigionia del Re. Luigi lo amava teneramente; il giovane Principe stava nella tenda del padre, ma quando la sua malattia lo aveva condotto all'estremo, fu trasportato sopra una nave.

Il monarca chiedeva continuamente notizie di suo figlio, ma quelli che gli erano intorno non rispondevano. Alla fine gli annunziarono che il Conte di Nevers era morto. Poco dopo morì il Legato del Papa, molto compianto dal clero e dai soldati della Croce che si rivolgevano a lui come al loro padre spirituale.

1270: la morte del Re Luigi IX

Nonostante i suoi patimenti e le sue afflizioni, Luigi IX aveva sempre cura del suo esercito. Dette ordini finché ebbe qualche forza, dividendo il suo tempo tra i doveri di cristiano e quelli di monarca.

Infine la febbre aumentò; non più in grado di impegnarsi alla cura dell'esercito, né a fare i suoi esercizi spirituali, fece porre una croce di fronte a lui e, alzando le mani, pregò in silenzio. Tutto l'esercito era in lutto; i soldati piangevano e chiedevano al cielo che mantenesse in vita il loro buon Re.

Il Principe Filippo, che doveva succedergli al trono, era nella sua tenda; il Re lo fece avvicinare al suo letto e, con voce spenta, gli dette alcuni consigli sul modo di governare il regno dei suoi padri. Queste istruzioni contenevano nobilissime massime di religione e di politica.

Dopo aver raccomandato a Filippo di rispettare e di far rispettare la religione e i suoi ministri e di temere sempre e sopra ogni cosa di offendere Dio, aggiunse queste parole:
“Mio caro figliuolo, sii caritatevole e misericordioso verso i poveri e verso tutti quelli che soffrono.
Se giungerai al trono, mostrati degno con tuoi comportamenti di ricevere la santa unzione con la quale i re di Francia sono sacrati.
Quando sarai Re, mostrati giusto in tutte le cose e che nulla ti distolga mai dalla via della verità e dell'onestà. Se la vedova e l'orfano compaiono davanti a te con l'uomo potente, dichiarati per il più debole contro il più forte, affinché conosca apertamente la verità.
Negli affari nei quali sarai tu stesso interessato, sostieni prima di tutto la causa altrui, poiché se non facessi così, i tuoi consiglieri oserebbero parlare contro di te, il che non devi volere.
Mio caro figliuolo, ti raccomando soprattutto di evitare la guerra con ogni popolo cristiano; se sarai ridotto alla necessità di farla, fa almeno in modo che il povero popolo che non ha colpa alcuna, sia al sicuro da ogni danno.
Poni tutto il tuo potere per comporre le divisioni che nascessero nel tuo regno, poiché nessun'altra cosa piace di più a Dio che lo spettacolo della concordia e della pace.
Non trascurare di porre nelle provincie buoni prevosti. Trasmetti volentieri il potere a persone che lo sappiano usare bene e punisci quelli che ne abusano, poiché se tu devi odiare il male in altri, maggiormente lo devi odiare in quelli che ottengono da te la loro autorità.
Sii equo nella percezione del pubblico danaro, saggio e moderato nel suo uso; guardati dalle spese pazze che conducono a tasse ingiuste; correggi con prudenza quello che è difettoso nelle leggi del regno.
Mantieni con lealtà i diritti e le franchigie che i tuoi predecessori hanno lasciato.
Più i tuoi sudditi saranno felici, più tu sarai grande; più il tuo governo sarà irreprensibile, più i tuoi nemici avranno rispetto a muoverti guerra”.

Luigi dette alcuni altri consigli a Filippo sull'amore che doveva a Dio, ai suoi popoli e alla sua famiglia poi, aprendo tutto il suo cuore non fece sentire più altro che il discorso di un padre che stava per separarsi da un figlio amato teneramente, dicendogli:
“Io ti do tutte le benedizioni che un padre può dare al suo caro figliuolo.
Ti prego che tu mi faccia soccorrere con messe ed orazioni e che ne abbia parte a tutte le buone opere che tu farai.
Prego Nostro Signore Gesù Cristo che, per la sua grande misericordia, ti guardi da tutti i mali e ti difenda onde non faccia cose contro la sua volontà e che dopo questa vita mortale possiamo vederlo, amarlo e lodarlo insieme nei secoli dei secoli”.

Filippo lo ascoltò con rispettoso dolore e volle che le ultime parole di suo padre fossero fedelmente trascritte per averle sotto gli occhi tutti i giorni della sua vita.


la Regina Isabella di Navarra piange ai piedi del letto di Luigi IX

Poi Luigi si rivolse a sua figlia la Regina Isabella di Navarra, che piangeva ai piedi del suo letto; le ricordò i doveri di Regina e di moglie, le raccomandò principalmente di avere cura di suo marito il Re Tebaldo II di Navarra che era ammalato. Queste paterne istruzioni furono le ultime parole che Luigi disse ai suoi figli.

In quel mentre giunsero gli ambasciatori dell'Imperatore Bizantino Michele VIII Paleologo ed il Re acconsentì a riceverli. Nello stato in cui si trovava Luigi non poteva giudicare né le false promesse dei Bizantini, né i timori per la menzognera politica del loro Imperatore. Si limitò dunque ad esprimere il suo desiderio che si effettuasse la riunione delle due Chiese e promise agli ambasciatori che suo figlio Filippo vi avrebbe cooperato con tutto il suo potere.

Questi ambasciatori erano Méliténiote, arcidiacono della cappella imperiale, e il celebre Véchus, cancelliere della chiesa di Costantinopoli, i quali furono tanto commossi dalle parole e dalle virtù del Re Luigi, che si applicarono poi con zelo alla riunione delle due Chiese ed ambedue furono vittime della politica bizantina.

Dopo questa udienza, Luigi non volle pensare più ad altro che a Dio e rimase solo col suo confessore. I suoi elemosinieri recitarono davanti a lui le preci della Chiesa, poi ricevette il Santo Viatico e l'estrema unzione. Dalla Domenica all'ora di nona fino al lunedì all'ora di terza, la sua bocca non cessò di lodare il nostro Signore e di pregare per il popolo che aveva condotto in Africa.


Luigi IX riceve il Santo Viatico
(dipinto di Charles Meynier)

Il Re ripeteva queste parole: “Fa o signore che disprezziamo le prosperità del mondo e che affrontiamo le sue avversità”. Diceva pure ad alta voce il versetto d'un altro salmo: “O Dio, degnati di santificare il tuo popolo e di vegliare sopra esso”.

Qualche volta invocava San Dionigi, che aveva spesso invocato nelle sue battaglie, e gli chiedeva il suo celeste appoggio per quell'esercito che lasciava senza capo.

Nella notte fra la domenica ed il lunedì fu udito pronunciare due volte il nome di Gerusalemme poi disse: “noi andremo a Gerusalemme”. La sua mente era sempre piena della idea della guerra santa. Forse allora vedeva solo la Gerusalemme celeste, ultima patria dell'uomo giusto.

Alle ore nove del mattino, il lunedì del 25 agosto, perse la parola ma guardava ancora le persone con benevolenza. Il suo volto era quieto e si vedeva che la sua anima fluttuava fra le più pure affezioni della terra e i pensieri della eternità.

Sentendo di avvicinarsi alla morte, fece segno che lo ponessero coperto di cilicio, sopra un letto di cenere. A mezzogiorno fece come se stesse per dormire e tenne gli occhi chiusi per più di un'ora e mezza.

Poi sembrò che si risvegliasse, aprì gli occhi e guardò il cielo dicendo: “Signore entrerò nella tua casa e ti adorerò nel tuo santo tabernacolo”. Spirò alle tre ore della sera.

Quando la sventura che ognuno temeva fu annunziata all'esercito, i guerrieri francesi si abbandonarono alla disperazione: vedevano nella morte di Luigi il segno di tutte le calamità, e si chiedevano reciprocamente quale capo li avrebbe ricondotti in patria.

Fra i gemiti e i singhiozzi, si udivano aspri lamenti contro quelli che avevano consigliato questa spedizione e sopratutto contro il Re di Sicilia ritenuto colpevole di tutti i disastri della guerra.


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