1270: la seconda Crociata di Luigi IX
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II Re comandò a Florent de Varennes, che svolgeva le funzioni di Ammiraglio, di scendere in una scialuppa e di andare a fare una ricognizione sulla riva. Varennes non trovò anima viva e mandò a dire al Re che non c'era tempo da perdere e che bisognava approfittare della costernazione dei nemici.

Ma il Re ricordava che nella precedente spedizione si era troppo affrettato lo sbarco sulle coste d'Egitto e in questa non si volle avventurare; fu pertanto deciso di aspettare il giorno successivo.


Luigi IX

Il giorno appresso, allo spuntar del sole, la costa era piena di Saraceni fra i quali si vedeva un gran numero di uomini a cavallo. Ma i Crociati accostarono comunque e la moltitudine dei musulmani si disperse. Questa fu una speciale grazia del cielo, perché i Cristiani erano in tanto disordine che cento uomini avrebbero potuto sterminare tutto l'esercito.

Quando l'esercito cristiano ebbe completato lo sbarco, si ordinò in battaglia sulla riva e, secondo le leggi della guerra, Pietro di Condet, elemosiniere del Re, lesse ad alta voce un proclama con il quale i vincitori prendevano possesso del territorio.

Questo proclama, scritto dallo stesso Luigi IX, cominciava con queste parole:
“Io vi dico il bando di Nostro Signore Gesù Cristo e di Luigi Re di Francia, suo sergente”.

Furono sbarcati i bagagli, le provviste e le munizioni da guerra. Fu costruito un vasto recinto dove si montarono le tende dei soldati cristiani. Mentre si scavava le fossa e si alzavano i ripari per assicurare l'esercito dalle sorprese, fu presa la torre situata sulla punta del capo.

Il giorno dopo 500 marinai piantarono lo stendardo dei fiori di giglio sul castello di Cartagine. Il borgo di Marza, vicino al Castello, fu pure occupato dai Crociati, che vi posero i loro ammalati mentre l'esercito rimaneva sotto le tende.

In una lettera scritta a Mathieu de Vendôme, Abate di Saint-Denis, Luigi IX racconta i primi successi di quella guerra che doveva essere funesta ai Crociati:
“Giungemmo alla vista di Tunisi il giovedì precedente alla festa di Santa Maria Maddalena e il venerdì abbiamo presa terra senza ostacolo alcuno; dopo sbarcati i cavalli, ci siamo inoltrati fino all'antica città detta Cartagine e vi abbiamo posto il nostro campo.
Sono con noi il mio fratello Alfonso Conte di Poitiers e di Tolosa, i miei figliuoli Filippo, Giovanni e Piero, il mio nipote Roberto Conte di Artois e gli altri baroni.
La regina di Navarra mia figliuola, le mogli degli altri Principi, i figliuoli di Filippo e del Conte di Artois sono sulle navi poco discoste da noi.
Noi, per grazia di Dio, godiamo tutti di ottima salute. E vi annunziamo che per aver provveduto a quanto era necessario, abbiamo, col soccorso di Dio, preso d'assalto la città di Cartagine, nella quale sono stati uccisi alcuni Saraceni”.

1270: la sosta a Cartagine

Luigi IX sperava tuttavia nella conversione del Califfo di Tunisi ma presto questa pia illusione si dissipò. Il principe mussulmano mandò i suoi ambasciatori dal Re per annunziargli che gli sarebbe andato incontro con 100.000 uomini e che gli avrebbe chiesto il battesimo sul campo di battaglia; il Califfo aggiungeva che aveva fatto prendere tutti i Cristiani che si trovavano nei suoi territori e che li avrebbe fatto trucidare se l'esercito cristiano si fosse accostato alla sua capitale.

Le minacce del Califfo di Tunisi non potevano mutare il progetto della Crociata. I mori non ispiravano terrore, né nascondevano la paura che avevano dei Crociati. Non osando mai affrontare il nemico, le loro bande vagavano intorno all'esercito cristiano, sperando di sorprendere quelli che si allontanavano dal campo; spesso assaltavano i posti avanzati, scagliavano alcune frecce, mostravano le loro scimitarre nude e poi la celerità dei loro cavalli li salvava quando i cristiani li inseguivano.


Tunisi

Spesso usavano altri stratagemmi: tre di loro andarono nel campo dei Crociati e dissero che volevano farsi cristiani; poi altri cento si presentarono manifestando la stessa intenzione. Furono ricevuti festosamente ma loro, sguainando le loro scimitarre cominciarono a fare strage di Francesi. Poi, schiacciati dal numero dei Crociati, in parte furono uccisi, in parte si diedero alla fuga. I primi tre implorarono la compassione dei Crociati e, riuscendo a far credere di essere ignari del disegno degli altri, furono perdonati e furono cacciati fuori dal campo.

L'esercito mussulmano, fattosi ardito per l'inazione dei cristiani, si presentò più volte nella pianura per combattere; ma Luigi, avendo deciso di tenersi sulla difensiva e di aspettare l'arrivo del Re di Sicilia, vietò ai suoi di uscire dal campo: questa fu una decisione funesta, poiché il monarca siciliano, che aveva consigliato questa malaugurata spedizione, con il suo ritardo doveva compiere ancora più male di quello che aveva già fatto con i suoi consigli.

1270: i preparativi di Baibars

Intanto in Egitto si facevano i preparativi per prevenire l'invasione dei Franchi, e fin dai primi di agosto, Baibars annunziava con suoi messaggi che si moveva al soccorso di Tunisi.

Le genti che il Sultano del Cairo teneva nella provincia della Cirenaica ebbero l'ordine di mettersi in cammino. Califfo di Tunisi aveva chiamato alla difesa dell'Islamismo tutti i musulmani del Marocco e delle provincie della Mauretania. Così che l'esercito musulmano poteva ricevere molti rinforzi, mentre i Crociati non avevano alcuna speranza di trovare alleati sulle coste dell'Africa.

Nelle prime Crociate molti cristiani accorrevano a combattere, ma in Africa i Crociati non vedevano intorno a loro che una misera popolazione. I pochi Cristiani sparsi sulla costa, vivendo nel timore e nella servitù, non osavano visitare i loro fratelli d'Occidente. Tutto quello che i Crociati vedevano in quella terra remota non li incuriosiva, ma li colmava solo di malinconia, invece di animare il loro entusiasmo.

Nessuno dei cavalieri e nemmeno i chierici che accompagnavano la Crociata, avevano tanta erudizione da esplorare e riconoscere le rovine sparse sotto i loro piedi; una sola cosa sapevano, cioè che erano giunti in una città che si chiamava Cartagine.

Accampati fra i ruderi delle più remote antichità, i signori e i baroni di Francia avevano tutti i loro desideri rivolti verso le loro case che avevano lasciato in Occidente. Era appena noto nell'esercito cristiano che nei primi secoli della Chiesa tutte le città della costa dell'Africa avevano visto gli Apostoli e molti martiri della fede.

Quel territorio, una volta molto fertile, era ora una solitudine ardente, dove vi erano solo pochi olivi. I soldati di Luigi IX non trovarono i boschetti verdi o le limpide cascate che, secondo la poetica narrazione di Virgilio, consolarono i compagni di Enea.

1270: le epidemie al campo dei Crociati

Fin dai primi giorni del loro arrivo, ai Crociati mancava l'acqua e per cibarsi avevano soltanto carne salata. I soldati non potevano sopportare il clima dell'Africa; soffiavano venti torridi, simili al fuoco divoratore.

I Saraceni sulle vicine montagne sollevavano la sabbia che, sotto forma di nuvole infuocate, era portata dal vento nella pianura dove erano accampati i Cristiani. Infine la dissenteria, morbo pericoloso nei climi caldi, faceva grandi stragi nell'esercito. La peste che sembrava un prodotto spontaneo di quelle aride sabbie, si aggiunse a sterminare cristiani.

Si stava giorno e notte in allarme, non per far fronte al nemico che fuggiva sempre, ma per difendersi da ogni sorpresa. La maggior parte dei Crociati soccombeva alla fatica, alla penuria, al morbo.

Morirono il Conte Bouchard V di Vendôme, il Conte Ugo XII di Lusignano, Gualtiero di Nemours, i Signori di Montmorency, di Pienne, di Brissac, Guido d'Aspremont e Raoul fratello del Conte di Soissons.

Non vi era modo di seppellire i morti che, gettati confusamente nelle fosse del campo, le riempivano e questo aumentava la corruzione dell'aria e faceva più triste lo spettacolo della desolazione.


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