1217: la Crociata di Egitto
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Dunque appena il Cardinal Pelagio Galvani giunse in Egitto, volle subito fare il comandante dell'esercito e, quando vinse una certa scaramuccia con i musulmani mentre era alla guida dei suoi soldati, tanto si sollevò il suo animo che pretese il comando supremo e assoluto della Crociata, volendo anche avere come sottoposto il Re di Gerusalemme, poiché sosteneva che, visto che i Crociati avevano preso le armi dopo le esortazioni del Pontefice, erano conseguentemente soldati della Chiesa e soggetti a lui che la rappresentava.

Queste ragioni persuasero i pellegrini, ma mortificarono gli animi dei principi e dei baroni. Subito la discordia si insinuò nell'esercito e chi doveva mantenere l'unione divenne portatore di disordini. Intanto il Cardinale Robert Courçon era morto poco dopo il suo arrivo.

1218: manovre e piccoli scontri

I Principi musulmani, vedendosi contro un tale apparato da guerra, cominciarono a considerare il loro pericolo e ad organizzarsi per la loro difesa.

Il Califfo di Bagdad al-Nasir li-din Allah esortava il popolo ad armarsi contro i Cristiani; il Sultano del Cairo al-Malik al-Kamil spedì i suoi ambasciatori da tutti i Principi musulmani della Siria e della Mesopotamia, avvisandoli del pericolo che correva l'Egitto. Contemporaneamente egli teneva sempre il suo campo nei pressi di Damietta, dove aspettava il soccorso dei Principi della sua famiglia e mandava di continuo nella città viveri e rinforzi.

I Crociati, vedendo che i musulmani provvedevano vigorosamente alla loro difesa, si scossero dal loro letargo, ritornarono alle opere dell'assedio e dettero alcuni assalti alla città dalla parte del Nilo.

Nel mese di ottobre del 1218 al-Malik al-Kamil provò due volte ad irrompere il campo cristiano. Per due volte gli egiziani riuscirono ad attraversare il Nilo e lanciare un attacco, ma entrambe le volte vennero respinti con gravi perdite.

Vi furono ancora altri scontri sul fiume; in uno di questi accadde che una nave dei Cavalieri Templari, venisse trascinata dal vento e dalle correnti sotto le mura della città. Subito accorsero con molte barche i nemici per impadronirsene e i Cavalieri Templari, piuttosto che cadere in schiavitù, sfondarono la carena della loro nave, la quale riempitasi d'acqua, affondò, lasciando sbigottiti i musulmani che l'avevano già circondata e uncinata, con meraviglia pure dei cittadini di Damietta, i quali dalle mura stavano guardando questo spettacolo. Della nave non rimase fuori dall'acqua che la cima dell'albero alla quale era fissata la bandiera.

Dopo diversi scontri, al-Malik al-Kamil si concentrò di più a difendere la sua posizione (e quindi proteggere Damietta) che continuare con i tentativi di cacciare i cristiani. Costruì delle barricate e opere di difesa; affondò anche alcune delle sue navi per impedire alle navi cristiane di avvicinarsi alla città.

I Crociati, comprendendo di giorno in giorno quanto la loro impresa fosse piena di difficoltà, cominciarono a mormorare contro il Cardinal Pelagio Galvani, il quale, con dolci parole, li andava esortando alla pazienza e alla rassegnazione e, per muovere in favore dei Crociati la misericordia di Gesù Cristo, faceva fare preghiere, processioni e digiuni per tutto il campo, dove per mancanza di viveri si facevano già grandi astinenze, e senza precetto.

A novembre era chiaro che i Crociati non sarebbero stati in grado di farsi strada attraverso il Nilo; quindi cercarono di riaprire un canale che era stato abbandonato da tempo. Il loro piano era quello di navigare fino ad un punto ben al di sopra di Damietta e quindi attaccare la città da due lati.

Riuscirono a dragare il canale, quando improvvisamente furono colti da una tempesta così rovinosa, che quasi tutti disperavano della loro sorte. Imperversavano i venti, le piogge erano furiose ed il fiume inondò il campo cristiano; le tende, i bagagli ed i viveri vennero rapiti dalle acque e dal vento; i pellegrini fuggirono smarriti senza sapere dove, gridando che Dio aveva mandato un secondo diluvio per punire le nefandezze degli uomini.

La tempesta durò tre giorni passati i quali all'orizzonte riapparve il sole, il cielo si rasserenò e le acque si ritirarono nel loro consueto letto. Allora i Cristiani gridarono di gioia per essersi miracolosamente salvati e ringraziarono Dio di tanto beneficio; ma l'inverno con i suoi disagi avanzava ed i viveri erano perduti; il freddo, la fame e le malattie avrebbero colpito il popolo cristiano.

1219: il ritiro degli Egiziani

I Crociati avevano il loro campo sulla riva occidentale del Nilo e non potevano assediare la città dalla parte di terra se non attraversando il fiume, ma questo era arduo e pericoloso, visto che il Sultano del Cairo aveva posto il suo campo sulla riva opposta.

Accadde comunque una cosa che fu molto favorevole ai Cristiani. Appena morto Safedino, gli Emiri musulmani cominciarono a tirare fuori le loro ambiziose brame e a creare disordine negli eserciti per approfittarne a loro favore. Fra questi Emiri c'era un Curdo chiamato Imad-ad-Din, che aveva guadagnato una grande celebrità sotto Saladino quando aveva difeso San Giovanni d'Acri da tutte le forze dell'Occidente.


al-Malik al-Kamil
(Giotto: frammento di "Francesco e il Sultano")

Egli era un guerriero intrepido, ma poco fedele e pronto ugualmente sia alle armi che alle cospirazioni. Nutriva avversione verso il Sultano del Cairo perché amava la pace ed il buon governo del popolo. Ora l'irrequieto Emiro, non sapendo sottostare ad alcuna autorità, decise di voler cambiare il governo dell'Egitto, detronizzando il Sultano del Cairo per mettere al suo posto un altro figlio di Safedino.

Dopo aver attirato in questa sua cospirazione alcuni Emiri, Imad-ad-Din aveva fissato il giorno in cui doveva entrare nella tenda di al-Malik al-Kamil e costringerlo con la forza ad abdicare; ma questo progetto era giunto alle orecchie del Sultano la vigilia del giorno in cui l'attentato doveva compiersi.

Al-Malik al-Kamil, non sapendo il numero e le forze dei congiurati, decise di uscire dal campo proprio la notte successiva. Questa prudente fuga del Sultano lasciò sgomenti i congiurati, che incerti e spaventati, in parte fuggirono ed in parte dissimularono.

Era l'alba del 5 febbraio del 1219, quando la notizia della cospirazione e della partenza del Sultano divenne nota a tutti. Tutto nel campo era in confusione e nel panico; i soldati correvano alle tende dei principali Emiri, nessuno dei quali osava assumere il comando supremo; tutti diffidavano, i capi dei soldati, i soldati dei capi. Alla fine tutto l'esercito abbandonò il campo e si mise sulle tracce del Sultano fuggitivo.

Così gli scrittori arabi espongono la fuga del Sultano, ma i Latini la espongono in un altro modo. Dicono dunque che erano apparsi nel campo mussulmano San Giorgio e altri guerrieri celestiali armati di fulgide armi e con sopravvesti bianche e, che correndo per il cielo spaventavano i Turchi, gridando loro: “Fuggite, fuggite se non volete essere ammazzati”. Narrano anche che fosse stata udita un'altra grandissima voce che lungo il fiume gridava ai Cristiani: “E voi che state a fare? Ecco tutti i Saraceni che fuggono”.

Certo è che, andati i musulmani dietro al loro signore, Cristiani passarono il Nilo, entrarono nel campo abbandonato del nemico, lo predarono e raggiunsero le mura di Damietta per porre sotto assedio la città.

Intanto il Sultano al-Malik al-Kamil andava verso al Cairo. Dopo pochi giorni giunse in Egitto il fratello del Sultano del Cairo, il Principe di Damasco Malik al-Mu'azzam Musa con le sue genti di Siria. Allora tutto l'esercito egiziano si ricompose sotto le bandiere di al-Malik al-Kamil. Imad-ad-Din e gli altri congiurati furono presi e condotti oltre il deserto.


Malik al-Mu'azzam Musa

Il Principe di Damasco Malik al-Mu'azzam Musa, prima di passare in Egitto, aveva fatto alcune scorrerie intorno a San Giovanni d'Acri e, temendo che i cristiani approfittassero della sua assenza per occupare Gerusalemme, distrusse le sue mura e tutte le torri, lasciandovi solo la torre di Davide.

Spianò anche la fortezza del monte Tabor e tutte le altre situate sulle coste della Palestina. Ma questo espediente non era sufficiente perché la Città Santa restava sempre in balia di chi aveva più forze permanenti sul luogo.


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