l'avvento di Qalawun
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Nessuno avrebbe potuto espugnare la città, se avesse avuto per abitanti dei cittadini effettivamente residenti e non forestieri, pellegrini e mercanti sempre pronti a cambiare dimora con le loro sostanze.

Quelli che rappresentavano il Re di Napoli, i luogotenenti del Re di Cipro, i Francesi, gli Inglesi, il Legato del Papa, il Patriarca di Gerusalemme, il Principe di Antiochia, gli Ordini militari, i Veneziani, i Genovesi, i Pisani, gli Armeni, i Tartari, avevano ognuno il loro quartiere, la loro giurisdizione, i loro tribunali, i loro magistrati, tutti indipendenti gli uni dagli altri e tutti col diritto di sovranità.

Quei quartieri erano come altrettante piccole città che non avevano né gli stessi costumi, né lo stesso idioma, né gli stessi interessi. Era impossibile mettere ordine in una città dove tanti sovrani facevano leggi, che non aveva amministrazione uniforme e dove spesso il delitto era perseguitato da una parte e protetto dall'altra.

Così tutte le passioni erano senza freno e davano spesso occasione a scene sanguinose: oltre alle liti che nascevano nella città, non accadeva divisione in Europa, e sopratutto in Italia, che non avesse influsso a San Giovanni d'Acri. Le discordie dei Guelfi e dei Ghibellini vi agitavano gli animi e le rivalità tra Venezia e Genova vi facevano scorrere torrenti di sangue.

Ogni nazione aveva fortificazioni nel quartiere in cui abitava; perfino le chiese erano fortificate. All'ingresso di ogni piazza vi era una fortezza e porte e catene di ferro, ed era facile accorgersi che tutti questi mezzi di difesa erano stati usati meno per difendersi dai nemici che dai vicini rivali.

I capi di ogni quartiere qualche volta si radunavano in assemblea, ma di rado andavano d'accordo, e diffidavano gli uni degli altri. La città, nel medesimo tempo, chiedeva soccorsi all'Occidente e trattava una tregua con i musulmani.

Ma quando si concludeva un trattato, non vi era chi avesse tanto potere da farlo rispettare; anzi ognuno si riteneva libero di violarlo e di attirare cosi sulla città tutti i mali che tale violazione poteva creare.

1290: la tregua tra San Giovanni d'Acri e il Sultano

Dopo la presa di Tripoli, il sultano del Cairo minacciò la città di San Giovanni d'Acri; ma, non ritenendo ancora favorevole il momento, si lasciò convincere dalle preghiere e rinnovò con gli abitanti una tregua per due anni, due mesi, due settimane, due giorni e due ore.

Secondo una cronaca, il Legato del Papa disapprovò questo trattato e fece insultare i mercanti musulmani che erano andati a San Giovanni d'Acri; i Templari e gli altri Ordini militari volevano rispettare il trattato col Sultano d'Egitto, ma il Legato si oppose e minacciò di scomunica tutti quelli che tenevano relazioni amichevoli con gli infedeli.

Un autore arabo attribuisce un'altra causa all'infrazione dei trattati. Racconta che la moglie di un ricco abitante di San Giovanni d'Acri, innamoratasi di un giovane musulmano, si era appartata con lui in uno dei giardini al di fuori della città; il marito, avvisato di tale oltraggio fatto alla fede coniugale, radunò alcuni amici, uscì con loro da San Giovanni d'Acri, sorprese la moglie col giovane e li ammazzò entrambi.

Alcuni musulmani accorsero dai luoghi vicini, ma giunsero anche i cristiani ed erano in maggior numero; la contesa divenne generale e tutti i musulmani che i cristiani riuscirono ad avere nelle mani furono trucidati.

Questa violenza poteva dare al Sultano d'Egitto un giusto motivo per ricominciare la guerra. I cristiani, che avevano il presentimento dei loro nuovi pericoli, implorarono i soccorsi del Papa. Il Papa pregò Venezia di fornirgli venti galere e questo naviglio trasportò a San Giovanni d'Acri 1.600 uomini della milizia collettizia.

I rinforzi mandati agli abitanti di Palestina per loro difesa, accelerò la loro perdita. I soldati della Santa Sede, arruolati fra avventurieri e vagabondi, si abbandonarono ad ogni tipo di licenza e rubarono indistintamente sia ai musulmani che ai cristiani; poi questa masnada indisciplinata uscì dalla città e fece una scorreria sulle terre dei musulmani, devastando tutto, saccheggiando borghi e villaggi, insultando gli abitanti e massacrandone molti.

Il Sultano del Cairo spedì i suoi ambasciatori dai cristiani per dolersi delle violenze commesse durante la tregua. Una volta giunti gli ambasciatori a San Giovanni d'Acri, furono tenuti alcuni consigli nella città; i pareri erano dapprima divisi: alcuni volevano che si sostenessero quelli che avevano rotto la tregua, altri che si desse soddisfazione al Sultano e che si continuasse con la tregua. Infine tutti decisero di mandare al Cairo degli ambasciatori incaricati di scusarsi per l'accaduto e di offrire alcuni doni.

Questa ambasciatori ammessi alla presenza di Qalawun, spiegarono che il male era stato commesso dai soldati venuti dall'Occidente e non dagli abitanti di San Giovanni d'Acri; poi si offrirono in nome della loro città di punire gli autori del disordine. Ma la loro sottomissione e le loro preghiere non impietosirono il Sultano, che rimproverò loro aspramente di schernire la fede dei trattati, di dar ricetto ai perturbatori e ai nemici della pace e del diritto delle genti.

Il Sultano era stato tanto inflessibile parchè riteneva che fosse giunto il momento propizio per concretizzare i suoi progetti. Sapeva egli che nessuna Crociata si preparava in Europa, che il Papa Niccolò IV sollecitava invano i Re di Francia e di Inghilterra e che tutti gli aiuti dell'Occidente si riducevano a quegli avventurieri che avevano rotto la tregua. Alla fine Qalawun licenziò gli ambasciatori d'Acri e dette immediatamente ordine che in tutte le sue provincie si facessero i preparativi per la guerra.

Ritornati indietro gli ambasciatori, a San Giovanni d'Acri si riunì un gran consiglio al quale intervennero il Patriarca di Gerusalemme, Jean de Gresli che comandava per il Re di Francia, Oste de Granson che comandava per il Re d'Inghilterra, Guillaume de Beaujeu, Gran Maestro del Templari, Jean de Villiers, Gran Maestro degli Ospitalieri, i principali capi della città, un gran numero di cittadini e di pellegrini.

Quando gli ambasciatori ebbero reso conto della loro missione e riferite le minacce del Sultano d'Egitto, il Patriarca prese la parola: le sue virtù, i suoi capelli bianchi, il suo zelo perla causa dei cristiani, spiravano fiducia e rispetto.

Il venerabile prelato esortò tutti quelli che lo ascoltavano ad armarsi per difendere la città ed a rammentarsi che erano cristiani e che dovevano morire per la causa di Gesù Cristo; li scongiurò di dimenticare le loro discordie, di non avere altri nemici che i musulmani e di mostrarsi degni della santa causa per cui si accingevano a combattere. La sua eloquenza ridestò negli ascoltatori un sentimento generoso; tutti giurarono di obbedire alle esortazioni del Patriarca.

1290: la morte di Qalawun

Furono chiesti aiuti dappertutto. Giunsero alcuni pellegrini dall'Occidente ed qualche guerriero dalle isole del Mediterraneo; giunse anche il Re Ugo III di Cipro con 500 uomini d'arme.

Questi nuovi ausiliari, messi insieme a tutti gli uomini in arme di San Giovanni d'Agri, ascendevano a 900 uomini a cavallo e 18.000 fanti. Tutti furono ripartiti in quattro divisioni incaricate di difendere le torri e le mura della città.

La prima di queste divisioni era comandata del capitano francese Jean de Gresli e da Oste de Granson, capitano degli Inglesi e dei Piccardi. La seconda divisione era comandata dal Re Ugo III di Cipro e da Konrad von Feuchtwangen, Gran Maestro dell'Ordine Teutonico. La terza da Jean de Villiers, Gran Maestro degli Ospitalieri e dal Gran Maestro dei Cavalieri di San Tommaso di Canterbury. La quarta da Guillaume de Beaujeu, Gran Maestro dei Templari e da Thomas de Sainville, Gran Maestro dell'Ordine di San Lazzaro. Un consiglio composto di otto capi doveva governare la città durante l'assedio.

Anche i musulmani si preparavano alla guerra; tutto era in moto dalle rive del Nilo fino a quelle dell'Eufrate. II Sultano Qalawun, essendosi ammalato mentre usciva del Cairo, spedì in avanti sette dei suoi Emiri, ognuno con 4.000 uomini a cavallo e 20.000 fanti.

Giunti sul territorio di San Giovanni d'Acri, devastarono i giardini, le case di campagna, le vigne che coprivano le colline. La vista degli incendi che sorgevano da tutti i lati, la moltitudine smarrita degli abitanti dei dintorni che fuggivano con le loro masserizie, gli armenti e le famiglie, furono di avviso a San Giovanni d'Acri dello sterminio che li aspettava.

Accaddero alcune scaramucce nella pianura, ma non vi fu cosa degna di nota. I musulmani aspettavano l'arrivo del Sultano per cominciare l'assedio.

Qalawun tuttavia era trattenuto in Egitto dalla sua malattia e, sentendosi avvicinare la morte, fece chiamare suo figlio al-Ashraf Khalil e i suoi Emiri. Raccomandò agli Emiri di riconoscere e servire suo figlio come avevano servito lui; a suo figlio raccomandò di continuare la guerra contro i cristiani, pregandolo di non dargli gli onori della sepoltura se prima non aveva espugnato la città di San Giovanni d'Acri.

Il nuovo Sultano al-Ashraf Khalil giurò di eseguire le ultime volontà del padre e quando Qalawun fu morto, gli Imam si radunarono nella cappella ove fu postato il suo corpo, lessero per tutta la notte il Corano e invocarono l'aiuto del loro Profeta contro i discepoli del Cristo. Dopo ciò al-Ashraf Khalil si mise subito in cammino con il suo esercito.


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