1190: la Crociata dei due Re
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1191: la resa di San Giovanni d'Acri

Intanto i Francesi avevano attaccato la “Torre Maledetta” a est della città. Già stava cominciando a crollare e presto avrebbe offerto ai Crociati il modo di accedere nella città. La guerra, le malattie e la fame avevano indebolito i difensori; nella città mancava il cibo e i guerrieri, che avevano resistito a tutti gli stenti, erano demoralizzati; il popolo iniziò a mormorare contro Saladino e contro gli Emiri.


Filippo II e Riccardo Cuor di Leone
ricevono le chiavi di San Giovanni d'Acri

Il 3 luglio una breccia sufficientemente grande fu creata nelle mura, ma l'attacco cristiano fu respinto. Il 4 luglio il governatore della città andò alla tenda di Filippo Augusto e gli disse: “Sono quattro anni che siamo padroni di San Giovanni d'Acri. Quando i musulmani vi entrarono, lasciarono a tutto il popolo la libertà di muoversi dove volevano con le loro famiglie. Vi offriamo oggi la resa della città e chiediamo le stesse condizioni che in passato abbiamo concesso ai cristiani”.

Il Re di Francia, dopo aver ascoltato i capi principali dell'esercito, rispose al governatore che i Crociati non intendevano salvare gli abitanti e la guarnigione di San Giovanni d'Acri, se prima i musulmani non restituivano Gerusalemme e tutte le città cristiane cadute nelle loro mani dopo la Battaglia di Tiberiade.

Il governatore, infuriato per il rifiuto, si ritirò giurando su Maometto di seppellire se stesso e tutto il popolo di San Giovanni d'Acri sotto le rovine della città, esclamando: “i nostri ultimi momenti saranno terribili e quando l'angelo Redouan condurrà uno di noi in paradiso, il feroce Malek precipiterà cinquanta di voi all'inferno”.


San Giovanni d'Acri si arrende a Filippo Augusto e Riccardo Cuor di Leone
(dipinto di Merry Joseph Blondel)

Al suo ritorno in città, il governatore infiammò tutti gli animi dei difensori, così che, quando i cristiani ripresero i loro assalti, furono respinti con un tale vigore che ne restarono sorpresi. Il coraggio dei musulmani era causato dalla disperazione, ma l'entusiasmo causato dalla disperazione era temporaneo: presto i soldati dell'Islam ricaddero nello sconforto. Gli aiuti che Saladino aveva promesso non arrivavano e nulla poteva salvare la città. Molti disertarono e la diserzione e la vista delle torri in rovina aumentarono il terrore nei musulmani.

Il 7 luglio 1191 la città inviò un'ambasciata a Saladino chiedendo aiuto un'ultima volta, minacciando altrimenti di arrendersi; oramai gli assediati pensavano solo a salvare le loro vite. L'11 luglio ci fu una battaglia finale e il 12 luglio la città offrì nuovamente la resa ai Crociati, che questa volta trovarono i termini della loro offerta più accettabili.


i Crociati entrano a San Guovanni d'Acri

Corrado del Monferrato, che era tornato a Tiro, fu richiamato per agire come negoziatore; gli assediati promettevano di restituire il legno della Vera Croce e più di 2.000 prigionieri; inoltre si impegnavano a versare 200.000 pezzi d'oro ai capi dell'esercito cristiano lasciando in ostaggio tutte le persone intrappolate in San Giovanni d'Acri a garanzia della piena attuazione del trattato.

Un soldato musulmano uscì dalla città per informare Saladino che la città era stata costretta a capitolare. Il Sultano ascoltò la notizia con profondo dolore, poi convocò il suo Consiglio per l'approvazione della capitolazione, ma i suoi Emiri non lo avevano ancora raggiunto al Consiglio, che si videro sventolare sulle mura e sulle torri di San Giovanni d'Acri le bandiere del Regno di Gerusalemme e di Francia, Inghilterra ed Austria.

Il 12 luglio 1191, dopo che il governatore di San Giovanni D'Acri aveva firmato la capitolazione, i cavalieri cristiani entrarono nella città per ricevere gli ostaggi e prendere possesso delle torri e delle fortezze.


Filippo Augusto (dipinto di Emile Signol)

La guarnigione musulmana uscì dalla città in mezzo all'esercito cristiano in ordine di battaglia; i guerrieri musulmani sfilarono con un tale contegno ed orgoglio che davano l'impressione di essere stati loro i vincitori. Questo infastidì i soldati cristiani, già scontenti per non aver preso d'assalto e saccheggiato la città; questo malcontento crebbe ancora di più quando i due Re collocarono le sentinelle a ogni porta per difendere la città dalla moltitudine dei Crociati che volevano darsi al saccheggio.

Riccardo cuor di leone e Filippo Augusto si spartirono tutte le ricchezze che si trovavano a San Giovanni D'Acri e si sorteggiarono gli ostaggi ed i prigionieri di guerra.

A questo punto Sicardo, il Vescovo di Cremona esclamò: “La chiesa ed i posteri giudichino se è corretto dare tutto a due principi venuti da appena tre mesi, quando gli altri pellegrini avevano acquisito sui resti del nemico i diritti dalle lunghe fatiche e dal loro sangue versato per diversi inverni”.

Quando Filippo Augusto e Riccardo cuor di leone si ebbero diviso il premio della vittoria, tutto l'esercito poté entrare in città. Il clero purificò le chiese che erano state trasformate in moschee e ringraziò il Cielo per l'ultimo trionfo concesso alle armi dei Crociati.

I cristiani che erano stati espulsi da San Giovanni D'Acri quando era stata conquistata da Saladino, tornarono a reclamare i loro antichi possedimenti e fu solo grazie alla intercessione del Re di Francia che fu permesso loro di tornare alle loro case.

Non appena i Crociati occuparono la città, subito cominciarono i dissapori; tra questi uno che in seguito avrebbe portato a gravi conseguenze. Riccardo cuor di leone stava usando la vittoria senza mezzi termini, non solo per i vinti, ma anche per gli stessi vincitori: il Duca d'Austria Leopoldo V di Babenberg, in rappresentanza di Enrico VI, Imperatore del Sacro Romano Impero, era ora il comandante del contingente tedesco ed aveva issato la sua bandiera su una torre della città perché la riteneva alla pari di quelle di Filippo Augusto e di Riccardo Cuor di leone. Ma per ordine di Riccardo la bandiera venne rimossa e gettata nel fossato; i guerrieri tedeschi stavano già prendendo le armi per vendicare questo oltraggio, ma Leopoldo preferì nascondere il suo risentimento ed aspettare che la fortuna gli offrisse un'opportunità più favorevole per vendicarsi.

Corrado del Monferrato, malcontento, bruscamente ritirò le sue forze a Tiro e quando Riccardo cuor di leone gli inviò dei prelati e dei baroni per indurlo a ritornare indietro, rispose che non si sentiva al sicuro in una città dove a comandare tutto l'esercito c'era solamente Riccardo cuor di leone.

1191: il ritorno in Europa di Filippo Augusto

Dopo che san Giovanni d'Acri era tornata in mani cristiane, si riunirono i capi e decisero formalmente che Guido di Lusignano doveva restate come Re di Gerusalemme, ma che dopo la sua morte, la corona sarebbe passata a Corrado del Monferrato ed Isabella di Gerusalemme e che il titolo di Re di Gerusalemme sarebbe passato ai loro eredi.

Fu allora che Filippo Augusto, forse insoddisfatto del comportamento del Re d'Inghilterra, o forse perché gli mancavano i soldi per continuare la guerra, o forse perché la sua malattia aveva fatto progressi, annunciò la sua intenzione di voler ritornare nei suoi Stati.

Il Duca Ugo III di Borgogna che andò da Riccardo cuor di leone per dirgli dell'intenzioni di Filippo Augusto, lasciò costernati i baroni del Re d'Inghilterra, ma Riccardo cuor di leone, che non era per niente dispiaciuto per non avere più rivali nell'armata cristiana, accettò senza difficoltà la partenza di Filippo Augusto e si limitò a richiedere la promessa che al suo ritorno in Francia, Filippo Augusto non avrebbe fatto nulla contro le terre e le province che appartenevano alla corona d'Inghilterra.

Il 31 luglio 1191 Filippo Augusto tornò a Tiro ed il 2 agosto si imbarcò per la Francia, lasciando in Palestina 10.000 Francesi sotto il comando del Duca Ugo III di Borgogna.

Quando lasciò San Giovanni D'Acri, i suoi fedeli cavalieri e Crociati che si erano schierati con lui contro Riccardo cuor di leone, lo salutarono con commozione, mentre gli altri invece lo rimproveravano perché stava abbandonando la causa di Gesù Cristo.


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