1249: la Campagna d'Egitto
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L'Emiro Fakhr al-Din Ibn Shaykh al-Shuyukh, rimasto senza esercito, non poté rinforzare il presidio della città e assicurarne la difesa; così che gli abitanti di Damietta, vinti dal panico e ricordando ancora le difficoltà passate durante il precedente assedio, decisero di abbandonare la città.

La paura li rese barbari: dopo aver trucidato senza pietà tutti i cristiani della città, depredato le case e appiccatovi il fuoco, partirono alla volta di Mansura. I soldati del presidio, arabi della tribù dei Benou-Kenaneh, vinti dalla paura, abbandonarono le torri e le mura sotto la loro custodia e fuggirono con l'esercito di Fakhr al-Din Ibn Shaykh al-Shuyukh. Alla fine della notte la città era senza difensori e senza popolazione.

1249: Damietta in mano ai Crociati

Dal campo dei Cristiani si vedevano le fiamme che si alzavano sopra Damietta; tutto l'orizzonte era pieno di fuoco. Sorto il sole, furono mandati alcuni soldati a esplorare la causa dell'incendio. Questi trovarono le porte della città aperte, le strade deserte e disseminate dei cadaveri degli cristiani uccisi.


Luigi IX riceve le chiavi della città di Damietta

Gli esploratori ritornarono al campo e riferirono quanto avevano visto. Dapprima la cosa pareva incredibile ma, ordinato in battaglia, l'esercito entrò in città dove si accertò che era stata abbandonata, così che i Crociati ne presero possesso.

Per prima cosa si occuparono di spegnere l'incendio, poi si misero a saccheggiare ed a predare; tutto ciò che era sfuggito alle fiamme divenne il premio della vittoria.

Il Re di Francia, il Legato del Papa, il Patriarca di Gerusalemme ed i prelati entrarono in processione nella città e, andati alla grande moschea, la convertirono nuovamente in chiesa cristiana, dedicandola alla Vergine Maria. Tutta la processione camminava a capo scoperto ed a piedi nudi, cantando salmi per ringraziare Dio e ad attribuire a Lui tutta la gloria di una conquista miracolosa.

I cavalieri e baroni esaminarono con loro grande soddisfazione le fortezze della città, le alte mura e le molte torri che la rendevano quasi inespugnabile. Alcuni musulmani che vi erano rimasti, colpiti dalla vittoria miracolosa, corsero incontro ai Cristiani portando in mano la Croce e, dopo essersi convertiti al Cristianesimo, furono aggregati nell'esercito Crociato per fare da guide nelle loro spedizioni.


Luigi IX libera i progionieri cristiani
(dipinto di François-Marius Granet)

Uno spettacolo che toccò profondamente i vincitori fu la vista di 53 prigionieri cristiani che avevano rifiutato di abiurare la loro fede e gemevano in catene da 22 anni. Condotti dal Re di Francia, raccontarono che i musulmani erano fuggiti nel buio. I Crociati in questa occasione notarono la mala fede dei musulmani che, nonostante il trattato, avevano trattenuto i prigionieri cristiani.

Frattanto in tutte le provincie dell'Egitto si diffuse la notizia della presa di Damietta. Uno scrittore arabo che allora si trovava al Cairo, narra nella sua storia che tale avvenimento fu considerato come una delle maggiori calamità. Tutti i musulmani erano in profonda afflizione e cominciavano a disperare della salvezza dell'Egitto.

Il Sultano del Cairo al-Salih Ayyub però non era morto, ma gravemente ammalato; quando ebbe notizia della sconfitta del suo esercito, dell'abbandono di Damietta e dei successi dei Crociati, si infuriò talmente che sentenziò la morte di 54 soldati del presidio di quella città.

Invano i condannati si scusarono, dicendo di aver seguito la ritirata dell'Emiro Fakhr al-Din Ibn Shaykh al-Shuyukh: il Sultano rispose che meritavano la morte per aver temuto di più le armi del nemico che lo sdegno del loro sovrano. Questo esempio di severità fu efficace a ricondurre i soldati sotto le bandiere del Sultano, ma i principali Emiri erano malcontenti.

Il sultano avrebbe voluto punire anche l'Emiro Fakhr al-Din Ibn Shaykh al-Shuyukh, ma si accontentò solamente di rimproverarlo, dicendogli:
“E' si vede bene che la presenza dei Franchi deve essere formidabile oltre ogni stima, poiché uomini del tuo valore non l'hanno potuta sostenere neanche per un solo giorno”.

Queste parole suscitarono più indignazione che paura tra gli Emiri presenti; alcuni fissarono in volto Fakhr al-Din Ibn Shaykh al-Shuyukh, facendogli capire che erano pronti a pugnalare il Sultano, ma poi, vedendo nel volto del Sultano il pallore della morte, nessuno tentò di commettere un inutile delitto. Così quel misero Principe aveva poco distante un poderoso nemico che non poteva combattere e intorno dei traditori che non osava punire.

Frattanto i Crociati si stabilirono a Damietta. Il Re di Francia ed il Legato pontificio fecero ordinare un Arcivescovo per la moschea della città che era stata consacrata in chiesa cristiana. Tutte le altre moschee della città furono convertite in chiese o in cappelle alle quali il Re donò ricchi ornamenti e tutte le cose necessarie per la celebrazione dei santi offici.


Cavalieri degli Ordini del Tempio
e di San Giovanni

Poi il Re distribuì la maggior parte delle terre e delle case agli Ordini del Tempio e di San Giovanni, ai Cavalieri Teutonici ed ai baroni e signori d'oltremare. Anche i Frati Francescani che avevano predicato la Crociata e i Frati Trinitari la cui missione era quella di riscattare gli schiavi, ottennero ricche dotazioni nella città conquistata.

La guardia delle torri e delle mura fu affidata a 500 cavalieri ma il Re non permise all'esercito di stanziarsi nella città e fece piantare le tende sulle due rive del Nilo e nell'isola di Maale nel delta del Nilo.

Il calore ed il clima umido infastidiva molto i guerrieri cristiani che erano molestati anche dall'immensa quantità di mosche e di pulci. Ma, nonostante queste scomodità e le disgrazie molto maggiori che li minacciavano, i Crociati non si davano altro pensiero che quello di godersi la loro vittoria.

Il Conte Roberto I d'Artois, dal campo chiamato “Jamas” scrisse a sua madre, la Regina Bianca di Castiglia, una lettera, conservata tutt'oggi, nella quale, dopo aver narrato l'occupazione di Damietta, diceva che:
“il Re e la Regina stanno bene, il Duca Carlo I di Angiò è sempre travagliato dalla sua febbre la quale però si fa di giorno in giorno più mite, la Contessa d'Angiò ha partorito un bambino nell'isola di Cipro, grande e grosso e l'ha lasciato a balia nell'isola”.

1249: la diffusione del disordine

Il Sultano del Cairo si era fatto trasportare a Mansura, dove intendeva riordinare il suo esercito e ristabilirvi la disciplina. O perché si era ripreso dallo spavento, o perché voleva nascondere le sue paure e l'avanzare della sua malattia, scrisse ironicamente al Re Luigi congratulandosi per il suo arrivo in Egitto e chiedendogli quanto tempo contava di trattenersi; aggiunse inoltre che gli pareva inutile quella grande quantità di viveri e di attrezzi per l'agricoltura, dei quali i Crociati avevano caricato le loro navi; gli sembravano inutili visto che egli, per compire verso i Franchi i doveri della ospitalità in modo degno, si offriva di rifornirli di grano per tutto il tempo che avrebbero onorato l'Egitto della loro presenza.


Cavaliere mamelucco

In un altra lettera al-Salih Ayyub propose al Re una battaglia campale per il 25 di giugno, nel luogo che gli fosse stato più gradito. Luigi rispose alle lettere del Sultano dicendogli che egli era venuto in Egitto nel tempo prestabilito, ma non aveva ancora deciso il giorno della sua partenza. Quanto poi alla battaglia campale rispose che non accettava di scegliere né il giorno né il luogo, perché ogni luogo e ogni giorno era buono per combattere gli infedeli. Finiva la sua risposta dicendo che voleva combattere e perseguitare il Sultano in ogni terra conosciuta, fino a che Dio non lo convertiva alla vera fede.

La fortuna frattanto sorrideva al Re. Ogni giorno giungevano quei Crociati che erano stati dispersi dalla tempesta. Arrivarono anche i Cavalieri Templari e quelli dell'Ordine di San Giovanni, che in precedenza erano stati accusati di cercare la pace e di fare patti segreti con gli Egiziani; vennero armati per combattere. Visto che conoscevano il territorio ed avevano grande esperienza nel combattere gli infedeli, erano un rinforzo opportuno per tentare una spedizione contro Alessandria e Mansura e prendere il controllo della strada per il Cairo.

Dopo la presa di Damietta molti dei capi avevano proposto che si inseguissero i musulmani e si approfittasse del loro disordine, ma si avvicinava la stagione delle piene e le acque del Nilo cominciavano ad alzarsi. Inoltre il ricordo della disfatta del Cardinale Pelagio Galvani e di Giovanni di Brienne fece respingere l'idea di marciare contro la capitale d'Egitto.


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