1291: la caduta di San Giovanni d'Acri
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Gli assedianti combattevano ferocemente: parte di loro appoggiavano le scale e scalavano le mura; gli altri scuotevano le mura con gli arieti sforzandosi di abbatterle. Finalmente aprirono una larga breccia per la quale si poteva entrare nella città.

Qui cominciò subito una sanguinosa battaglia; non si scagliavano più pietre e frecce, ma si combatteva con la lancia, la spada e la mazza. La moltitudine dei musulmani cresceva, mentre i cristiani, al contrario, non ricevevano alcun soccorso.


i musulmani irrompono nella città

Alla fine quelli che difendevano le mura, vinti dalla fatica e dal numero dei nemici, si ritirano dentro la città; gli assalitori li inseguono, mentre quasi tutti gli abitanti se ne stavano immobili spettatori; non perché fossero atterriti dal grave pericolo, ma perché le loro reciproche rivalità e gelosie erano più forti del sentimento del pubblico danno.

Ecco quello che si legge in una cronaca contemporanea:
“Quando la notizia che i Saraceni erano penetrati dentro si divulgò per la città, molti cittadini, per odio gli uni degli altri, non ebbero la carità del comune che dovevano avere, e non tennero alcun conto di quello che loro poteva avvenire, pensando nei loro cuori che il Sultano non avrebbe fatto loro alcun male, poiché non avevano acconsentito alla violazione della tregua.
Nelle loro folli speranze volevano piuttosto essere debitori della loro salute alla clemenza del vincitore, che al coraggio dei soldati cristiani.
Invece di soccorrere i suoi vicini, ognuno, nel suo segreto, si rallegrava dei loro danni; i principali capi di ogni quartiere o di ogni nazione temevano di esporre i loro soldati, non per conservare le loro forze contro i musulmani, ma per procurarsi maggiore potenza nella città e prepararsi i mezzi per avere un giorno la preponderanza nelle pubbliche discordie”
.

Tuttavia il vero valore non si lasciava condurre da così vili passioni: le milizie Templari e Giovannite si mostravano ovunque appariva il pericolo; Guillaume de Clermont, Maresciallo degli Ospitalieri, accorreva con i suoi cavalieri dove il disordine e lo scontro erano maggiori. Avendo incontrato i cristiani che fuggivano, fece loro coraggio e, avventandosi egli stesso tra i nemici, fece tali prodigi di valore, che i musulmani cominciano a cedere.

Allora la maggior parte di quelli che fuggivano, ritornarono alla battaglia; l'urto fu terribile, la strage spaventosa. Verso la sera le trombe suonarono a ritirata e i musulmani disordinatamente si ritirarono attraverso la breccia che avevano fatto in precedenza.

Questo vantaggio inaspettato mutò subito gli animi. Quelli che non avevano combattuto e se ne erano stati nelle loro case, ebbero timore di essere chiamati traditori della causa dei Cristiani. Allora si riunirono e si mossero con le bandiere spiegate verso la porta di Sant'Antonio.

L'aspetto del campo di battaglia, disseminato di uccisi e di feriti, forse risvegliò in loro qualche sentimento generoso e, se prima non avevano dato dimostrazione del loro coraggio, la vista dei guerrieri che trovavano stesi a terra e che li supplicavano di medicare le loro ferite, fornì loro almeno l'occasione di esercitare la carità fraterna.

Si medicarono i feriti e si seppellirono i morti; poi furono riparate le mura dove furono poste delle macchine da difesa; tutta la notte fu impiegata a preparare le difese per il giorno successivo.

L'indomani all'alba fu convocata una assemblea generale nella casa degli Ospitalieri. Tutti i volti erano coperti di tristezza; il giorno prima si erano persi 2.000 soldati e ne rimanevano nella città solo 7.000, insufficienti a difendere le torri e le mura; la speranza di vincere il nemico era venuta meno; l'avvenire non prometteva altro che pericoli e calamità.

Quando tutta l'assemblea fu radunata, il Patriarca di Gerusalemme prese la parola. Il venerabile prelato non fece alcun rimprovero a quelli che non avevano combattuto il giorno precedente: si doveva dimenticare il passato; non lodò nemmeno quelli che avevano dimostrato il loro coraggio, per non ridestare le gelosie. Nel suo discorso non parlò della patria, poiché la maggior parte di quelli che lo ascoltavano non avevano patria in San Giovanni d'Acri.

Il prospetto dei mali che sovrastavano la città e ognuno dei suoi abitanti, fu presentato sotto i più tetri colori: non c'era speranza né rifugio per i vinti; nulla si doveva sperare dalla clemenza dei musulmani; era certo che l'Europa non avrebbe mandato alcun soccorso né vi erano navi sufficienti per poter fuggire per mare. Così il Patriarca, poco curando di diminuire i timori dei suoi ascoltatori, mirava anzi a infiammare il loro coraggio con la disperazione.

Completò il suo discorso esortando tutti a porre ogni speranza solamente in Dio e nelle loro spade e a prepararsi alla battaglia con la penitenza e col fraterno amore, soccorrendosi vicendevolmente e vivere o morire gloriosamente.

Il discorso del Patriarca fece una grande impressione sull'assemblea; si udivano da ogni parte sospiri e singhiozzi, tutti piangevano; i sentimenti religiosi riempivano tutte gli animi di ardore e di entusiasmo; la maggior parte si abbracciava e si esortava reciprocamente ad affrontare tutti i pericoli; si confessavano gli uni agli altri e tutti desideravano la corona del martirio; gli stessi che il giorno prima pensavano di disertare, giurarono di non abbandonare la città e di morire sulle sue mura con i loro fratelli e compagni.

I capi e i soldati andarono poi a occupare i luoghi loro assegnati. Quelli che non furono posti a difesa delle mura e delle torri, si disposero a combattere il nemico qualora fosse penetrato nella città. Si fecero ripari e si sbarrarono tutte le strade, si portarono molte pietre sui tetti per scagliarle sui musulmani qualora fossero entrati nella città.

Appena finiti questi preparativi, l'aria si riempì del suono delle trombe e dei tamburi; l'orribile fragore che partiva dalla pianura annunziava l'avvicinarsi dei musulmani, i quali, dopo aver lanciato un nugolo di frecce, si avventarono al muro che avevano aperto il giorno prima.

Trovarono una resistenza inaspettata e molti musulmani furono uccisi sotto le mura; ma, crescendo continuamente il loro numero ed i loro assalti continuamente rinnovati, gli infedeli sopraffecero i cristiani.

Fu aperta dagli arieti una nuova breccia e allora fu udito il Patriarca, sempre presente sul luogo del pericolo, pregare con voce lamentevole:
“O Dio circondaci con un muro che gli uomini non possano abbattere e coprici con l'egida della tua potenza”.

A tali parole i soldati ripresero un po' di coraggio e fecero un ultimo sforzo, correndo incontro al nemico e chiamando Cristo ad alta voce. I Saraceni invece chiamavano il Dio di Maometto e minacciavano fieramente i difensori della fede cristiana.

Mentre così si combatteva sulle mura, San Giovanni d'Acri aspettava tremando l'esito della battaglia. Nella città si diffusero mille notizie contrastanti. Si diceva che nei quartieri più lontani i cristiani erano vittoriosi e che i musulmani erano in fuga; si diceva anche che stava giungendo dall'Occidente una flotta con un nuovo esercito. A tali notizie se ne aggiungevano altre spaventose e, fra tutte, quelle veritiere erano solo quelle cattive.

Poi i musulmani entrarono nella città. I guerrieri cristiani che difendevano la porta di Sant'Antonio non avevano potuto resistere all'urto del nemico ed erano fuggiti per le strade. Allora i cittadini, ricordandosi le esortazioni del Patriarca, accorsero da tutti i quartieri e ricomparvero anche i Cavalieri Ospitalieri condotti dal valoroso Guillaume de Clermont.


Guillaume de Clermont difende San Giovanni d'Acri
(dipinto di Dominique Louis Papety)

Una grandine di pietre pioveva giù dalle case e le strade vennero chiuse con delle catene di ferro per impedire il passaggio alla cavalleria musulmana. I soldati che erano fuggiti dalla porta di Sant'Antonio ripresero forza e si gettarono di nuovo nella mischia penetrando nelle schiere musulmane e respingendole fino alle mura.

Ogni giorno gli assalti si rinnovavano sempre col medesimo furore. Alla fine di ogni giornata gli infelici abitanti di San Giovanni d'Acri si congratulavano reciprocamente per aver vinto i loro nemici, ma il giorno dopo, quando il sole ritornava all'orizzonte, vedevano dall'alto delle mura l'esercito musulmano, poderoso e grande come prima, che occupava la pianura dal mare fino alle falde delle montagne di Karouba.

Come al tempo di Saladino, i musulmani non avevano una flotta che li rifornisse di soccorsi e vettovaglie, o che potesse chiudere il porto di San Giovanni d'Acri; mentre i cristiani avevano un gran numero di navi e di barche che percorrevano la costa e portavano lo spavento fra i musulmani accampati sulla riva del mare.


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