la contesa tra Papato e Impero
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1245: il primo Concilio di Lione

Papa Innocenzo IV, sordo alle grida di tanti popoli trucidati dai barbari, essendo andato a Lione, vi convocò un Concilio Ecumenico per riparare ai mali che desolavano la Cristianità tanto in Oriente che in Occidente.

Nelle sue lettere mandate ai fedeli, il Pontefice si basò unicamente sulle diffuse e patetiche descrizioni delle calamità della Chiesa Romana, e supplicò i Vescovi e i Principi di aiutarlo con i loro consigli.

Quasi tutti i monarchi d'Occidente spedirono i loro ambasciatori al Concilio di Lione. Anche l'Imperatore Federico II, desiderando pacificare la Cristianità, vi spedì i suoi legati con pieni poteri. Fra questi legati vi era il celebre Pier dalle Vigne che, in nome del suo patrono aveva scritto lettere eloquenti a tutti i sovrani d'Europa contro la Corte Romana. A rappresentare Federico II vi era anche Taddeo da Sessa, famoso giurista e Gran Giustiziere dell'Impero.


Pier delle Vigne

Erano corsi al Concilio i Patriarchi di Costantinopoli, di Antiochia, di Aquileia e di Venezia, 140 tra Arcivescovi e Vescovi d'Italia, Spagna, Inghilterra, Scozia, Irlanda e Francia, un gran numero di dottori e alcuni Principi. Vi erano intervenuti inoltre come milizia speciale del Pontefice, gli Abati di Cluny, Chiaravalle e Citeaux, il Generale dell'Ordine di San Domenico, il Vicario dell'Ordine di San Francesco ed infine una grande moltitudine di abati e di frati.

Nella folla di prelati, solo uno sembrava attirare l'attenzione: era il Vescovo di Beirut e la sua presenza ed il segno di dolore sulla sua fronte ricordò a tutti le sventure della Terra Santa. L'Imperatore di Bisanzio Baldovino II attirò un'attenzione non minore: per la seconda volta era venuto in Occidente per implorare la compassione dei cristiani.

Prima di aprire il Concilio, il Papa volle tenere un convegno nel monastero di Saint Just, dove aveva stabilito la propria residenza. Il Patriarca di Costantinopoli espose all'assemblea lo stato miserevole della sua Chiesa, i progressi dell'eresia nell'Impero Latino di Costantinopoli e i progressi dei nemici della Chiesa Latina che avanzavano fino alle porte di Costantinopoli.

Il Vescovo di Beirut lesse una lettera nella quale il Patriarca di Gerusalemme, i baroni e i prelati di Palestina raccontavano le devastazioni che avevano fatto i Corasmi e descrisse l'eredità di Gesù Cristo come prossima preda dei barbari, se l'Occidente non si fosse subito armato in sua difesa.

I pericoli e le calamità dei Cristiani d'Oriente commossero fortemente i padri del Concilio, ma il Pontefice si ingegnò di distrarre le menti dalla compassione dei mali d'Oriente per volgerle all'attenzione dei suoi problemi personali.

Allora Taddeo da Sessa, accorgendosi che la commozione dei padri del Concilio apriva il campo alle sue parole, levatosi in piedi, annunziò che l'Imperatore, desideroso della pace della Cristianità, partecipando al loro dolore per le cose d'Oriente, si dichiarava pronto a porre in campo tutte le sue forze per la difesa dei Cristiani.


Taddeo da Sessa parla al Concilio

Era pronto ad assaltare i Mongoli, ad instaurare nella Grecia il dominio Latino, ad andare personalmente in Terra Santa e liberare il Regno di Gerusalemme e, per dare prova delle sue sincere intenzioni, prometteva di porre fine alle divisioni e di restituire generosamente alla Santa Sede le terre che gli aveva tolto.

Promesse tanto larghe e generose meravigliarono tutta l'assemblea che mostrava impazienza per la risposta di Innocenzo IV, il quale esclamò che fino ad allora Federico II aveva violato tutti i suoi giuramenti e che non era da credergli se non dava buone garanzie per le sue nuove promesse.


il Papa Innocenzo IV

Taddeo da Sessa propose come garanti dell'Imperatore il Re d'Inghilterra e quello di Francia, ma Innocenzo IV rifiutò apertamente l'offerta della garanzia, giustificando il suo rifiuto con il fatto che se l'Imperatore avesse mancato alle sue promesse, la Santa Sede invece che uno avrebbe avuto per nemici i tre più potenti principi della Cristianità.

Poi il Pontefice concluse che non si poteva mai far pace con un Principe troppo fecondo di espedienti. Taddeo da Sessa, il quale sino ad allora aveva sperato che le promesse dell'Imperatore sarebbero state accettate, cominciò a disperare della sua causa e non profferì altre parole.

Pochi giorni dopo, con grande solennità, iniziò il Concilio. Il Sommo Pontefice si sedette sul trono facendo sedere alla sua destra l'Imperatore di Costantinopoli e alla sua sinistra il conte Raimondo Berengario IV di Provenza ed il Conte Raimondo VII di Tolosa.

Dopo aver intonato il “Veni Creator” e fatte le solite preghiere allo Spirito Santo, il Papa espose le cinque afflizioni che lo rattristavano, paragonandole alle cinque piaghe di Gesù Cristo. La prima riguardava le invasioni dei Mongoli; la seconda lo scisma dei Greci; la terza riguardava l'invasione dei Corasmi in Terra Santa; la quarta era la corruzione della disciplina ecclesiastica e i progressi dell'eresia; la quinta era la persecuzione dell'Imperatore Federico II.

Il Pontefice parlò succintamente delle devastazioni dei barbari della Scizia e dei Corasmi, per poi parlare dei progressi dell'eresia e della corruzione del clero; ma questi mali lo preoccupavano molto meno delle imprese di Federico II, il quale si era dimostrato apertamente un nemico della Corte Romana.

Parlando dei flagelli che desolavano la Cristianità, il Papa costrinse il suo uditorio a piangere; ma lasciando da parte il linguaggio della compassione e della disperazione per assumere il tono minaccioso dello sdegno, rimproverò all'Imperatore del Sacro Romano Impero tutti i suoi torti verso la Chiesa Romana.


il Concilio di Lione

I padri del Concilio ascoltarono in profondo silenzio il discorso del Pontefice e, quando finì di parlare, nessuno dei Vescovi proferì parola, né pro né contro, convinti che era la voce del cielo a farsi sentire per condannare Federico II.

Nessuno si aspettava che gli ambasciatori imperiali osassero rispondere. Fu allora che Taddeo da Sessa si alzò in piedi e fece con parole succinte e ponderate l'apologia dell'Imperatore: “Dio solo, che vede ogni ruga dell'anima, sa e conosce che l'Imperatore è stato fedele alle sue promesse e che sempre ha servito e difeso la causa della religione”.

Poi l'imperturbabile Taddeo passò a confutare ad una ad una le accuse del Pontefice e non dimenticò di ricordare alcune offese fatte dalla Corte Romana all'Imperatore. Poi chiese al Concilio di sospendere il suo giudizio fino che non fosse giunto personalmente l'Imperatore per rendere ragione delle sue azioni.

Taddeo da Sessa sperava che la presenza del potente monarca, risvegliando negli animi il rispetto dovuto alla regia maestà, avrebbe dimostrato la giustezza delle sue ragioni, ma il Papa rigettò la domanda, esclamando che non si sentiva disposto a farsi imprigionare o a ricevere la palma del martirio.

Queste ultime parole erano una nuova accusa contro Federico; così la prima seduta del Concilio, tutta dedicata a queste violente contese, offrì lo spettacolo poco edificante d'una lotta tra il capo dei fedeli che accusava un principe cristiano di spergiuro, di fellonia, d'eresia, di sacrilegio e il ministro dell'Imperatore che rimproverava la Corte Romana per avere esercitato un despotismo odioso e commesso orribili iniquità.


Innocenzo IV al Concilio

Questa lotta, le cui conseguenze dovevano essere egualmente funeste per il capo della Chiesa e per il capo dell'Impero, durò più giorni e la maggior parte dei Vescovi si addolorarono per essere stati distolti a quel modo dal principale oggetto della loro convocazione.

Finalmente in Concilio venne discussa la causa dei Cristiani d'Oriente, della cattività di Gerusalemme e dei pericoli di Costantinopoli. Per cui fu deciso che andava predicata una nuova Crociata per la liberazione della Terra Santa e dell'Impero Latino di Costantinopoli.

Furono rinnovati tutti i privilegi concessi ai Crociati dai Pontefici e Concili precedenti e furono confermate tutte le pene sancite contro coloro che avrebbero favorito i pirati che infestavano il Mediterraneo e i musulmani.

Chi prendeva la Croce era esentato per tre anni da qualunque imposizione e pubblico ufficio e chi non adempiva al voto incorreva nella scomunica. II Concilio ammonì i baroni e i cavalieri a ridurre il lusso delle loro mense e del vestire e raccomanda a tutti i fedeli e specialmente agli ecclesiastici di praticare opere di carità e di fare penitenza.


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