1268: le conquiste di Baibars
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1268: l'assedio di Safed

Tale generosità verso gli Emiri annunziava che Baibars aveva ancora bisogno del loro valore per effettuare altre conquiste. Il Sultano ritornò in Egitto per farvi nuovi preparativi.

Durante la sua dimora al Cairo, ricevette gli ambasciatori del Re Alfonso d'Aragona, del Re di Armenia, e di alcuni Principi della Palestina. Tutti questi ambasciatori chiedevano la pace per i cristiani, ma le loro preghiere non facevano altro effetto che fortificare il Sultano nel suo progetto di continuare la guerra.

Rispose agli ambasciatori di Giacomo di Ibelin, Conte di Giaffa:
“Il tempo è venuto in cui noi non ci offriremo più alle ingiurie; quando ci toglieranno una capanna, noi prenderemo un castello; quando voi ci toglierete un contadino, noi incateneremo mille dei vostri guerrieri”.

Baibars non tardò a realizzare le sue minacce; attraversò il deserto e fece un pellegrinaggio a Gerusalemme, dove implorò la protezione di Maometto per le sue armate. Poi il suo esercito si mise in marcia e devastò i territori di Tiro, di Tripoli e di San Giovanni d'Acri. Il bottino fatto dai musulmani, secondo gli autori arabi, fu talmente tanto che “i buoi, i montoni e i bufali non trovavano compratori”.


rovine della fortezza di Safed

Poi il Sultano condusse le sue genti sulle rive del Giordano e decise di assediare la fortezza di Safed. Questa fortezza, che apparteneva ai Templari, era situata nell'alta Galilea, sopra un'altissima montagna.

Grosse mura costruite in pietra e alte più di cento piedi, un fossato largo e profondo incavato nella viva pietra e la difficoltà di giungere a quelle vette scoscese, rendevano la fortezza di Safed inespugnabile.

La città di Safed dovette difendersi contro tutte le forze che il Sultano aveva raccolto per un'altra più grande impresa. Quando iniziò l'assedio, Baibars, per accendere l'ardore dei suoi mamelucchi, fece distribuire vesti d'onore e borse di danaro sul campo di battaglia; persino il Gran Cadì di Damasco intervenne all'assedio di Safed, per incoraggiare i musulmani con la sua presenza.

Frattanto i cristiani si difendevano coraggiosamente. La loro resistenza fece dapprima meravigliare gli assalitori e poi li scoraggiò. Invano il Sultano cercava di rianimare i suoi soldati, invano comandò che si frustassero quelli che volevano fuggire, invano fece incatenare alcuni Emiri che avevano abbandonato la battaglia: né il timore delle pene, né la speranza delle ricompense, potevano rinfrancare il coraggio dei musulmani.

Baibars stava per levare l'assedio, ma la discordia dei cristiani venne in suo soccorso. Nei frequenti messaggi mandati al presidio, le perfide promesse e le minacce del Sultano seminarono sospetti e diffidenza. Gli assediati si divisero; parte volevano arrendersi, parte volevano difendersi fino alla morte. Allora i musulmani trovarono negli assediati una resistenza meno ostinata ed assaltarono con maggiore coraggio.

Mentre i cristiani si accusavano fra di loro e si rimproveravano di tradimento, le macchine da assedio scuotevano le mura di Safed; i mamelucchi, dopo vari assalti, erano sul punto di aprirsi una via nella città.

Finalmente un venerdì il Gran Cadì di Damasco, mentre pregava per i mamelucchi, udì gli assediati gridare dalle loro torri quasi distrutte: “O Musulmani, perdonateci, perdonateci!” Gli assediati avevano deposto le armi e non combattevano più; aprirono le porte e lo stendardo del Profeta fu piantato sulle mura di Safed.

La capitolazione accordava ai Cristiani il permesso di ritirarsi dove volevano, a condizione di non portare via altro che le loro vesti; ma Baibars vedendoli passare, cercò un pretesto per tenerli in suo potere.

Alcuni, per suo ordine, vennero presi e accusati di portare via di nascosto tesori ed armi, così che venne dato l'ordine di prenderli tutti. Vennero accusati di aver violato il trattato e furono minacciati di morte se non abbracciano l'Islamismo. Dopo di ciò, essendo stati tutti incatenati, furono portati confusamente su di una collina, dove non si aspettavano altro che la morte.

Un Commendatore dell'Ordine dei Templari e due frati minori esortarono i loro compagni di sfortuna a morire da eroi cristiani. Tutti quei guerrieri, poco prima divisi dalla discordia ed ora riuniti dalla sfortuna, avevano un solo sentimento, un solo pensiero. Si abbracciarono piangendo e si fecero vicendevolmente coraggio a sopportare la morte; poi passarono la notte a confessare i loro peccati e a piangere per i loro errori e le loro discordie.


i cristiani si confessano gli uni agli altri
(incisione di G. Dorè)

Il giorno dopo solo due di quei prigionieri furono posti in libertà: uno era un frate Ospitaliero che Baibars mandava a San Giovanni d'Acri per annunziare ai cristiani la presa di Safed; l'altro era Lion le Caselier, un Templare che aveva abbandonato la fede di Cristo e si era messo al servizio del Sultano; tutti gli altri, che erano circa 2.000, furono trucidati dai mamelucchi.

Non si può descrivere la disperazione e la costernazione dei cristiani della Palestina, quando seppero della tragica fine dei difensori di Safed. Il loro dolore venne descritto dalle cronache che raccontavano di fatti meravigliosi accaduti: si diceva che un chiarore celeste brillava tutte le notti sui cadaveri dei guerrieri cristiani rimasti senza sepoltura. Si diceva pure che il Sultano, infastidito da tale prodigio che si rinnovava ogni notte, diede ordine di seppellire i cadaveri e di circondare con un muro il luogo dove le loro ossa dovevano essere sepolte.

Era talmente implacabile l'odio di Baibars contro i Cristiani che infieriva contro i vivi e i morti ed accompagnava sempre le sue vittorie con qualche atto di crudeltà contro i vinti. Agli abitanti di San Giovanni d'Acri che gli avevano chiesto i resti dei loro fratelli massacrati, il Sultano, senza neppure degnarli di risposta, si mosse verso il loro territorio seguito da alcuni guerrieri, ammazzò tutti quelli che incontrò nel suo cammino, e ritornò a dire ai deputati che aveva fatto martiri abbastanza sufficienti per riempirne i campi di sepoltura dei cristiani.

1268: le scorrerie di Baibars

Dopo la presa di Safed, Baibars ritornò in Egitto. I cristiani speravano di avere qualche giorno di riposo e di sicurezza, ma l'instancabile Sultano non dava mai ai suoi nemici il tempo di rallegrarsi per la sua assenza. Raccolse nuovi soldati e subito riportò la desolazione sulle terre dei cristiani.

In questa campagna le sue armate vittoriose invasero l'Armenia. Il Sultano accusava il Re Aitone I d'Armenia di avere chiamato i mongoli che avevano invaso la Siria, di aver vietato ai mercanti egiziani l'ingresso nei suoi Stati e di avere proibito ai suoi sudditi di acquistare mercanzie dall'Egitto.

Queste accuse furono giudicate sul campo di battaglia; uno dei figli del Re d'Armenia perse la libertà, l'altro la vita; poi l'esercito di Baibars ritornò in Egitto con un grande bottino e con un gran numero di prigionieri.


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