I Francesi ricevettero con venerazione la lettera del Papa, mentre i Veneziani la lessero con disprezzo ed apertamente rifiutarono di sottoporsi alle decisioni della Santa Sede e si dedicarono ad assicurarsi la vittoria smantellando le mura di Zara.
I baroni francesi invece restarono esterrefatti per essere incorsi nella disgrazia del Papa e spedirono subito i loro ambasciatori a Roma per placarlo e chiedergli perdono, scusandosi per la necessità che gli aveva condotti a compiacere ai Veneziani. Vero è che i Francesi non avevano intenzione di restituire il bottino, né mai lo restituirono, ma largheggiarono in promesse e in attestati di sottomissione al Pontefice, del che egli fu soddisfatto ritenendo che il più grave di ogni delitto fosse quello si ribellarsi alla sua potestà; quindi rispose subito ai Francesi, incaricando i capi di salutare in suo nome i cavalieri e i pellegrini, assolvendoli da ogni peccato e benedicendoli come suoi figliuoli.
In questa seconda lettera, il Papa esortava i Francesi a partire per la Siria, permettendo loro di attraversare il mare con i Veneziani, anche se li aveva scomunicati. Aggiungeva inoltre nella sua lettera che i Veneziani, quantunque scomunicati, erano sempre obbligati alle loro promesse. Se poi si fossero ostinati nella loro ribellione contro la Santa Sede, il Papa raccomandava ai Francesi, una volta giunti in Palestina, di separarsi da quel popolo.
Il Pontefice inoltre prometteva la sua protezione e, affinché ai Crociati non mancassero i rifornimenti, egli avrebbe scritto all'Imperatore di Costantinopoli, perché vi provvedesse.
Mentre il Papa infieriva contro i Veneziani, giunsero a Zara gli
ambasciatori mandati da Filippo di Svevia, cognato del principe bizantino Alessio, i quali,
presentatisi nel consiglio dei signori e baroni riuniti nel palazzo del Doge, fecero questo
discorso:
“Signori, il Re dei Romani ci manda a voi raccomandandovi il giovine
principe Alessio, ponendolo nelle vostre mani e sotto la tutela di Dio.
Noi non siamo qui per distogliervi dalla vostra santa impresa, ma per
proporvi un mezzo facile e sicuro che vi conduca al compimento dei vostri disegni. Sappiamo bene
che voi avete preso le armi solo per amore di Gesù Cristo e per giustizia; per cui vi preghiamo
di voler soccorrere coloro che gemono oppressi da iniqua tirannide e di far prevalere a un tempo
le leggi della religione e quelle della umanità.
Vi preghiamo di volgere le vostre ami vittoriose contro la metropoli
di Grecia, nella qual soggiace un perfido usurpatore e di assicurare per sempre la conquista di
Gerusalemme da parte di Costantinopoli.
Né a voi né a noi sono ignoti i mali sofferti dai nostri padri,
compagni di Goffredo, di Corrado e del giovine Luigi VII, dopo aver lasciato alle loro spalle un
potente impero la cui conquista e sottomissione avrebbe potuto essere per i loro eserciti una
fonte di vittoria.
Ma che cosa non temere oggi dall'usurpatore Alessio III Angelo, che
in crudeltà e perfidia supera tutti i suoi predecessori, che si è aperta la via al trono col
parricidio, che ha tradito le leggi della religione e della natura e che non può sottrarsi alla
giusta punizione dei suoi misfatti se non alleandosi con i Saraceni?
Non ci dilungheremo ora nel dimostrarvi quanto sia agevole togliere
l'impero al tiranno odiato e disprezzato dai suoi sudditi, poiché al vostro valore non fanno
intoppo gli ostacoli, anzi gli aggradano i pericoli, né meno enumereremo a voi le ricchezze di
Costantinopoli e della Grecia, poiché i vostri animi generosi non considerano in questa
conquista se non che la gloria guerriera e la causa di Gesù Cristo.
Se voi toglierete la corona all'usurpatore per restituirla al
legittimo sovrano, il figlio di Isacco II Angelo vi promette, sotto la fede degli inviolabili
sacramenti, di mantenere per un anno la vostra armata e il vostro esercito e di pagarvi 200.000
marchi d' argento per le spese della guerra.
Oltre a ciò vi accompagnerà personalmente nella spedizione di Siria o
di Egitto, se ciò vi sembrerà conveniente e vi darà 10.000 uomini al suo soldo e durante la sua
vita manterrà 500 uomini d'arme in Terra Santa.
E per ultimo, al fine di togliere ogni ostacolo che vi possa
trattenere da così giusta impresa, Alessio promette con giuramento sui Vangeli, di porre fine
all'eresia dell'Impero d'Oriente e di sottoporre la Chiesa Greca a quella di Roma.
Con tanti vantaggi dell'impresa che vi proponiamo, ci lusinghiamo che
non rigetterete le nostre preghiere; noi vediamo nelle scritture che Dio alcune volte si è
servito degli uomini più semplici e meno conosciuti per annunciare la sua volontà al popolo
prediletto ed oggi egli ha eletto un giovine principe quale strumento dei suoi disegni ed è
Alessio mandato dalla provvidenza per condurvi nella via del Signore e per mostrarvi il cammino
che dovete percorrere per assicurare la vittoria agli eserciti del Cristo”.
Questo discorso fece una profonda impressione su un gran numero di baroni e cavalieri, nondimeno ve ne erano parecchi di contraria opinione. Il Doge e i signori fecero uscire gli ambasciatori per deliberare sulle proposte di Alessio.
Vi furono nel consiglio grandi contrarietà di pareri; quelli stessi che erano stati contrari all'assedio di Zara e soprattutto l'Abate Guy di Vaux-de-Cernay, si opponevano fortemente alla spedizione a Costantinopoli, ritenendo che non fosse giusto che si mettessero in pari considerazione gli interessi di Dio e quelli di Alessio e ricordando che lo stesso Isacco II Angelo, del quale volevano assumere la difesa, era un usurpatore che aveva preso il trono dei Comneni mediante una ribellione e che nella Terza Crociata si era dimostrato nemico dei Cristiani e fedele alleato dei Turchi.
L'Abate Guy di Vaux-de-Cernay fece notare inoltre che Filippo di
Svevia esortava i Crociati a soccorrere Alessio, ma che egli poi non li aiutava se non con
parole ed ambascerie e consigliava che si dovesse diffidare delle promesse di un giovane
principe che si obbligava a sopportate le spese per gli eserciti senza avere neppure un soldato
che offriva tesori non possedendo nulla e che, essendo stato educato fra i Greci, forse un
giorno avrebbe potuto ritorcere le proprie armi contro i suoi benefattori e concluse dicendo:
“Se le sventure vi muovono a compassione e se bramate di difendere la
causa della giustizia e dell'umanità, perché non ascoltate i gemiti dei nostri fratelli di
Palestina che sono minacciati dai Saraceni e le cui speranze sono tutte riposte nel vostro
valore?
Se voi andate in cerca di vittorie facili e di belle conquiste,
volgete gli occhi verso l'Egitto, il cui popolo è travagliato da durissima carestia e che, per
le sette piaghe della Scrittura, è abbandonato quasi senza difesa alle armi cristiane”.
Ma i Veneziani, che avevano motivi di inimicizia verso il nuovo Imperatore Bizantino, ebbero scarsa considerazione di questi discorsi ed avevano più desiderio di assaltare i Greci che i Saraceni; desideravano la distruzione degli insediamenti dei Pisani stabiliti in Grecia e volevano vedere le loro navi in trionfo attraverso il Bosforo.
Il Doge poi, che aveva anche delle offese private da vendicare, ingrandiva i mali inferti dai Greci alla sua patria ed ai Cristiani d'Occidente.
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