1098: il secondo assedio di Antiochia
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Un grido di gioia si elevò dai presenti e si ripeté da parte dell'esercito che era in attesa alle porte della chiesa e ben presto si sentì in tutti i quartieri della città. Il ferro della Sacra Lancia al quale erano legate tutte le speranze venne mostrato ai Crociati: sembrava loro un arma celeste con cui Dio doveva disperdere i suoi nemici. Tutti i Crociati erano felici, non avendo alcun dubbio sulla tutela del cielo.

L'entusiasmo diede nuova vita all'esercito cristiano che dimenticò gli orrori della carestia ed il grande numero di nemici: ora tutti chiedevano a gran voce di essere portati in battaglia.

1098: la battaglia di Antiochia

I capi dell'esercito cristiano, che avevano notato l'entusiasmo dei soldati, si occuparono di metterlo a profitto. Mandarono da Kerbogha Pietro l'eremita per proporre un duello o una battaglia generale. Pietro, che fu ricevuto con disprezzo nel campo degli infedeli, parlò con orgoglio dicendo:
“i Principi amati da Dio e che ora sono uniti ad Antiochia, mi hanno mandato da te e ti chiedono di abbandonare l'assedio della città.
Questa città contrassegnata con il sangue dei martiri apparteneva al popolo cristiano e, siccome tutti i popoli cristiani sono fratelli, siamo venuti in Asia per vendicare gli insulti rivolti a coloro che sono stati perseguitati e per difendere l'eredità di Gesù Cristo e dei suoi discepoli.
Dio ha permesso che Antiochia e Gerusalemme cadessero per qualche tempo nelle mani degli infedeli per punire i crimini del suo popolo; ma le nostre lacrime e penitenze ci hanno concesso la spada per la sua giustizia.
Rispetta quindi un bene che il Signore ha fatto nella sua misericordia divina; ti lasciamo tre giorni per rimuovere le tende e prepararti per la partenza.
Se persisti in una impresa ingiusta e disapprovata del cielo, noi invocheremo contro di te il Dio degli eserciti. Ma, siccome i soldati della croce non vogliono prenderti di sorpresa e non sono abituati a rubare la vittoria, ti offrono la scelta di combattere”.


duello tra il Duca Roberto di Normandia e un guerriero saraceno, sotto le mura di Antiochia
(dipinto di Jean Joseph Dassy)

Nel concludere il suo discorso, Pietro teneva gli occhi fissi su Kerbogha e disse ancora: “scegli i più coraggiosi del tuo esercito, e falli combattere contro un pari numero di Crociati o dà il segnale di una battaglia generale. Qualunque sia la tua scelta, presto imparerai quali sono i tuoi nemici e saprai chi è il Dio che noi serviamo”.

Kerbogha, che conosceva la triste situazione dei cristiani, fu molto sorpreso da tale linguaggio e rimase ammutolito dallo stupore, ma alla fine rispose:
“Torna indietro da chi ti ha mandato e digli che sono loro che devono ricevere le condizioni, e non chiederle. Sono dei miserabili vagabondi, uomini esausti, dei fantasmi e possono spaventare solo le donne.
I guerrieri d'Asia non hanno paura ed i cristiani impareranno presto a chi appartiene la terra su cui camminiamo.
Ma io sono disposto ad avere pietà se riconoscono Maometto. Posso dimenticare che questa città devastata dalla fame è già in mio potere e posso lasciarla in loro potere e dare loro armi, abbigliamento, pane, donne e tutto quello che occorre, perché il Corano ci comanda di perdonare coloro che si sottomettono alla sua legge.
Dì ai tuoi compagni che se oggi non approfittano della mia misericordia, domani non usciranno più di Antiochia se non con la spada. Vedranno allora se il loro Dio crocifisso, che non e riuscito a salvare se stesso dalla croce, li salverà dalla punizione che li attende”.


Cavaliere Turco

Pietro l'eremita voleva replicare, ma il Principe di Mosul, mettendo la sua mano sulla spada, ordinò che si cacciasse via quel mendicante miserabile. Pietro si ritirò in fretta e corse più volte il rischio di perdere la vita attraversando l'esercito degli infedeli.

Tornato ad Antiochia, Pietro rese conto della sua missione ad i Principi e baroni. Quindi i Crociati si prepararono per la battaglia. Gli araldi passarono attraverso i vari quartieri della città.

La battaglia era prevista per il giorno successivo, nell'impazienza dei Crociati che volevano dimostrare il loro valore. I Sacerdoti ed i Vescovi esortarono i cristiani a rendersi degni di combattere per la causa di Gesù Cristo. Tutto l'esercito trascorse la notte in preghiera. I Crociati dimenticarono gli insulti, fecero delle elemosine e tutte le chiese si riempirono di guerrieri che si umiliavano davanti a Dio chiedendo l'assoluzione dai loro peccati. Il giorno prima avevano trovato anche del cibo e questa abbondanza inaspettata fu considerata come una specie di miracolo.

Infine venne il giorno: era la festa di San Pietro e Paolo. Le porte di Antiochia si aprirono e tutto l'esercito cristiano, diviso in sei contingenti, uscì. Tutti i Principi, Cavalieri e Baroni erano alla testa dei loro uomini in armi.

Boemondo di Taranto divise le forze in sei contingenti: un contingente era sotto il suo comando, il secondo agli ordini di Ugo di Vermandois e di Roberto II di Fiandra, il terzo era guidato da Goffredo di Buglione, il quarto da Roberto II di Normandia, il quinto dal Vescovo Ademaro de Monteil ed il sesto da Tancredi d'Altavilla.

Solo Raimondo di Saint Gilles e Tolosa non era nei ranghi perché era stato incaricato di assediare il presidio della cittadella, ora tenuta da Ahmad ibn Marwan, inviato da Kerbogha.

Il Vescovo Ademaro de Monteil, che indossava la sua armatura e l'abito dei sacerdoti, avanzava circondato da immagini della religione e della guerra. Era lui che portava la Lancia Sacra. Poi, dopo essersi fermato al ponte sul fiume Oronte, rivolse un discorso ai soldati della croce, promettendo il soccorso e la ricompensa del cielo.

Parte del clero che avanzava al seguito del Vescovo Ademaro de Monteil cantava il salmo: “che il Signore si innalzi e lasci che i suoi nemici si disperdano”.

I Vescovi e sacerdoti che erano rimasti ad Antiochia, circondati da donne e bambini, benedissero le armi dei soldati cristiani sui bastioni e, alzando le mani al cielo, pregarono il Signore affinché salvasse il suo popolo e confondesse l'orgoglio degli infedeli. Le rive del fiume Oronte le montagne circostanti sembravano rispondere a queste invocazioni ed ovunque si sentiva il grido di guerra dei crociati: “Dio lo vuole! Dio lo vuole!”

In mezzo al coro di acclamazioni e preghiere, l'esercito cristiano avanzava lentamente. Una folla di cavalieri che fin dall'infanzia aveva combattuto a cavallo, ora marciava a piedi; si potevano vedere illustri guerrieri che cavalcavano muli o asini che non erano abituati al combattimento. Il cavallo che montava il Conte Roberto II di Fiandra era il frutto delle elemosine che gli avevano fatto; signori ricchi e potenti montavano su asini e molti cavalieri che avevano venduto le loro armi per vivere, ora avevano armi che erano difficili da usare.

Il cavallo che montava Goffredo di Buglione era di Raimondo di Saint Gilles e Tolosa; Goffredo, per ottenerlo, era stato costretto ad invocare la santa causa della difesa dei Crociati. Nelle file dei guerrieri si potevano osservare uomini malati o stremati dalla fame e le armi erano troppo pesanti per la loro debolezza; si sostenevano in piedi solo per la speranza di vincere o morire per la gloria di Gesù Cristo.

Le diverse armate del Principe di Mosul coprivano le colline ad est di Antiochia, di fronte alla porta di San Paolo; una porzione del campo di Kerbogha era nello stesso luogo dove Boemondo di Taranto si era accampato durante il precedente assedio. Tra le varie armate dell'esercito musulmano, quella di Kerbogha sembrava una montagna inaccessibile.


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