1099: la conquista di Gerusalemme
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I pellegrini, che non avevano né scale né macchine da guerra, si abbandonarono ai consigli di Pietro Desiderio ed erano convinti che il loro coraggio e le loro spade erano sufficienti ad abbattere i bastioni del nemico.

I capi dei Crociati, che avevano visto tanti miracoli dal valore ed entusiasmo dei soldati cristiani e che non avevano dimenticato le miserie del lungo assedio di Antiochia, cedettero prontamente all'impazienza dell'esercito; inoltre la vista di Gerusalemme aveva acceso l'ardore dei Crociati, i quali non avevano alcun dubbio che Dio avrebbe assecondato il loro coraggio facendo dei miracoli.

Al primo segnale, l'esercito cristiano marciò in buon ordine verso i bastioni. Alcuni, riuniti in piccoli battaglioni, si coprirono con i loro scudi costruendo così sopra le loro teste uno cupola impenetrabile e cercarono di scalfire i muri con picconi e martelli, mentre gli altri rimasero ad una certa distanza ed usavano le fionde e gli archi.

L'olio bollente, la pece e grandi massi caddero sul primo avamposto dei cristiani, ma nulla poteva intimidire l'audacia degli assalitori. La parete esterna era crollata sotto i loro colpi, ma il muro interno era un ostacolo insormontabile.


l'assedio di Gerusalemme (dipinto di Francesco Hayez)

Fu solo con le scale che arrivarono in cima alle mura: un migliaio di uomini coraggiosi si batterono per l'onore di arrampicarsi per primi e alcuni di loro raggiunsero la sommità del muro, dove lottarono con gli egiziani che non comprendevano la meraviglia di tale coraggio.

Non c'è dubbio che i Crociati avrebbero preso Gerusalemme quello stesso giorno, anche se non avevano gli strumenti e le macchine, ma gli assediati non tardarono a riprendersi dalla sorpresa ed il cielo non fece i miracoli promessi dall'eremita Pietro Desiderio; i primi attaccanti, sopraffatti dal grande numero di infedeli, non poterono essere salvati dai loro compagni e trovarono una morte gloriosa sulle mura di Gerusalemme.

I cristiani tornarono al loro campo deplorando la loro credulità. Questa prima sconfitta insegnò loro che non dovevano contare sui miracoli e che la loro priorità era quella di costruire macchine da guerra, ma era difficile ottenere il legname necessario in un paese che fatto di rocce e di terra nuda e sterile.


il campo dei Crociati davanti a Gerusalemme
(dipinto di Ambroise Dubois)

Diversi reparti furono inviati ad esplorare ed ebbero la fortuna di trovare nelle profondità di una grotta diverse grosse travi che trasportarono al campo. Poi demolirono le case ed anche le chiese del quartiere che non era stato incendiato e tutto il legname sfuggito alle devastazioni del nemico venne impiegato nella costruzione delle macchine da assedio.

Tuttavia il lavoro dell'assedio non placava l'impazienza dei Crociati e non poté impedire i mali che minacciavano ancora l'esercito cristiano. Il grande caldo estivo era iniziato già prima dell'arrivo dei pellegrini a Gerusalemme; la Valle del Cedron era asciutta e tutti i pozzi erano stati insabbiati o avvelenati. La fontana di Siloe non poteva bastare per la moltitudine di pellegrini; sotto un cielo di fuoco, in mezzo a un paese arido, l'esercito cristiano fu subito colpito da tutti gli orrori della sete.


l'assedio di Gerusalemme

Quindi tra i soldati vi era un solo pensiero: quello di ottenere l'acqua necessaria. La folla di pellegrini, con il rischio di cadere nelle mani dei musulmani, vagava notte e giorno tra le montagne e nelle valli e, quando scoprivano una sorgente o un pozzo, accorrevano in massa, litigando spesso per poche gocce di acqua fangosa.

Gli abitanti del posto portarono al campo cristiano alcuni recipienti riempiti di acqua raccolta in vecchie vasche o in una palude ed i pellegrini si affollarono intorno a loro, pagando per ottenere una bevanda in cui vi erano delle sanguisughe che gli provocavano delle malattie mortali.

Quando venne portata questa acqua ai cavalli, la fiutarono e ben presto, mostrando il loro disgusto, la spinsero via soffiando forte dalle narici. Lontani dai verdi pascoli, giacevano sul terreno polveroso del campo e neanche il suono delle trombe gli dava la forza di portare i loro cavalieri alla lotta. Le bestie da soma, abbandonate a loro stesse, perirono miseramente ed i loro corpi in putrefazione svilupparono nell'aria fumi velenosi.

Ogni giorno che passava aggiungeva ai Crociati nuovi malanni: la luce quotidiana divenne più ardente e le notti non erano più fresche. I guerrieri più forti continuavano a languire nelle tende, implorando la pioggia oppure un miracolo con cui il Dio di Israele avrebbe fatto sgorgare una rinfrescante acqua dalle rocce del deserto.

Tutti maledissero quel cielo straniero che fin dall'inizio dell'assedio sembrava riversare su di essi tutte le fiamme dell'inferno. A volte i Crociati correvano verso i bastioni della città di Dio e, con voce rotta dai singhiozzi, imploravano: “O Gerusalemme! Ricevi il mio ultimo respiro; che le tue mura cadano su di noi e che la santa polvere che ti circonda copra le nostre ossa!”


Gerusalemme

La calamità della sete era così grande che la mancanza di cibo si percepiva appena. Se gli assediati avessero attaccato l'esercito cristiano, avrebbero trionfato facilmente, ma l'Oriente non aveva dimenticato le vittorie dei soldati della croce e questa memoria li proteggeva: la loro sicurezza eroica gli aveva fatto guadagnare il rispetto dei loro nemici, che ancora tremavano alla loro vista.

Mentre i cristiani si lamentavano per la sete e soprattutto perché non avevano abbastanza macchine da guerra per fare un assalto, nel campo si apprese che una flotta genovese era giunta nel porto di Giaffa, carica di provviste di ogni tipo. Una squadra di 300 uomini comandati da Raymond Pelet lasciò il campo per andare incontro al convoglio inviato all'esercito cristiano.

Questi 300 Crociati, giunti nelle vicinanze di Giaffa, malmenarono e dispersero i musulmani ed entrarono nella città, abbandonata dai suoi abitanti. La flotta cristiana era sta sorpresa ed incendiata dagli infedeli, ma i cristiani avevano avuto il tempo di salvare il cibo e gli strumenti per costruire le macchine da guerra per trasportarli al campo cristiano; il convoglio, attaccato più volte dagli infedeli, giunse sotto le mura di Gerusalemme seguito da un gran numero di ingegneri e carpentieri genovesi, la cui presenza rianimò il coraggio degli assedianti.

Poiché non c'era abbastanza legname per la costruzione delle macchine da guerra, un siriano portò i crociati a poche miglia da Gerusalemme, verso la Samaria, che in molti luoghi era ancora boscosa. Là i cristiani scoprirono una foresta di abeti, cipressi e pini.

I carri trainati da cammelli trasportarono al campo gli alberi abbattuti, perché venissero utilizzati nei lavori per l'assedio. Nessuno rimase inattivo, cavalieri e baroni cominciarono a lavorare anche loro, oltre a tutto l'esercito cristiano.

Mentre alcuni costruivano arieti, catapulte e gallerie coperte, altri, con delle otri di pelle, andavano ad attingere l'acqua alla fontana di Elpire, sulla via di Damasco, al di là del villaggio di Betania; altri ancora conciavano le pelli rimosse alle bestie che erano morte a causa della siccità, per coprire le macchine e prevenire gli incendi, mentre altri ancora vagavano per le pianure e le montagne circostanti e raccoglievano, per formare delle fascine, rami di alberi ed arbusti.


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